PADANIA E ATLANTIDE
CONSIDERAZIONI SULLA LEGGENDA DELLA SCOMPARSA
DELLA METHAMAUCENSIS CIVITAS(*)

di Carlo Frison

Tralasciando le ipotesi sulla localizzazione dell'isola sommersa, la complessità del racconto di Platone consiste nella descrizione dei culti, delle usanze e della cultura materiale degli atlantidi e della geografia della pianura da loro abitata. Quanto apprendiamo dal racconto è da mettere a confronto con la conoscenza che abbiamo della preistoria dell'Europa occidentale e dell'Africa mediterranea, le terre da loro invase in età mitica.

Quanto sono numerosi sono i cercatori dell'Atlantide! Molte delle ipotesi proposte si rifanno al sollevamento del livello del mare susseguente alla fine dell'ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa. La mitica isola sommersa è stata localizzata ora in uno ora in un'altro mare attorno all'Europa e all'America. In realtà la localizzazione dell'isola è il punto meno influente sul senso "storico" del racconto. Un racconto, quello esposto da Platone brevemente nel Timeo e ampiamente nel Crizia, alquanto complesso. Vi troviamo una parte mitica che descrive il primo agire degli Dèi, che nell'isola dell'Atlantide generano una stirpe eletta. In questo senso, credo che anche l'isola stessa faccia parte del mito e non della saga degli atlantidi. Mi sembra che l'isola rientri nei miti della creazione che narrano della terra emersa dal mare cosmico.
Il senso morale del racconto è evidente nell'analogia tra la maledizione di Zeus che colpisce gli atlantidi corrotti e la sorte dei cainiti, cioè di Caino, fondatore della prima città, e dei suoi discendenti che svilupparono una civiltà antediluviana degenerata nella violenza tanto da meritare il castigo divino(1). Ma qui siamo più interessati al senso "storico". Estraiamo dunque dal racconto di Platone dei particolari che ci guidino nel localizzare la città sacra dell'Atlantide.

Graffito protostorici delle pendici del monte Baldo. Il reticolo e interpretabile come mappa di divisione agraria. (da: R. Fasolo e F. Gaggia, cit.)



Gli atlantidi partirono dalla mitica isola e invasero l'Europa fino all'Etruria e il Nordafrica. I loro animali preferiti erano il toro, il cavallo e l'elefante. Al centro della loro città sacra piantarono una stele su cui compivano il sacrificio di tori. Conoscevano i metalli. In questi particolari troviamo le fasi percorse dalle culture occidentali preistoriche. Nei graffiti paleolitici gli animali più rappresentati sono appunto il bisonte (simile al toro), il cavallo e il mammuth (simile all'elefante). Ma la stele piantata al centro della città sacra non può essere che un menhir; e quindi il mito accenna alla cultura megalitica. La conoscenza dei metalli ci porta all'età del loro sfruttamento e delle vie commerciali dei micenei che dall'Egeo si spingevano verso il Nordeuropa per importare lo stagno.

La pianura dell'Atlantide era tutta divisa in lotti quadrati e solcata da canali artificiali. Le più antiche divisioni agrarie di cui sia rimasta traccia si trovano nell'Europa settentrionale. Sono denominate "campi celtici", ma iniziano dal periodo megalitico. La loro forma è tendenzialmente rettangolare o quadrata(2). Anche in Padania abbiamo qualche testimonianza di divisioni agrarie protostoriche. Recentemente è stato scoperto qualche tratto di fossi agrari, cioè fiancheggianti un viottolo, della media età del Bronzo nella Bassa Veronese(3). Ci sono poi incisioni rupestri protostoriche sul monte Bego(4) e sul monte Baldo(5) che hanno forma di reticoli regolari interpretabili come mappe di campi più o meno quadrati. Da Oderzo provengono due cippi con iscrizioni venetiche interpretati come cippi confinari di tipo gromatico. Di conseguenza è accertato che nel Veneto la lottizzazione e la bonifica agraria ha preceduto le centuriazioni romane(6).

Il popolo era soggetto a una condizione servile e il governo era a conduzione collegiale. La presenza di divisioni agrarie tendenzialmente regolari nelle agricolture primitive non deve stupire. Le parcelle uguali e regolari rispecchiano una società ugualitaria in cui la terra non era proprietà privata. I lavori collettivi dei servi erano necessari per bonificare e preparare il terreno alle colture. I capi ripagavano la fedeltà dei servi con l'equa assegnazione dei lotti. Queste caratteristiche sono proprie delle società matriarcali, che sono le iniziatrici dell'agricoltura, in cui il rigido controllo esercitato sulla massa dei servi non è gestito da un re (che eventualmente ha funzioni magico-religiose), ma da un collegio di capi. Quando gli indoeuropei, popoli nomadi di pastori e allevatori di cultura patriarcale, giunsero in Europa incontrarono questi agricoltori, detti perciò preindoeuropei. Gli indoeuropei, acquisendo le tecniche della coltivazione dagli agricoltori matriarcali, assimilarono anche le loro usanze sociali "collettiviste", ma prima o poi introdussero il diritto di proprietà privata su estensioni sempre maggiori di terreni. Così le pianificazioni operate dalle società patriarcali - è il caso di quelle romane - sono state ugualitarie solo all'inizio, ma poi sono state sconvolte dalle compravendite.

I dieci re dell'Atlantide erano fratelli. Il re primogenito dimorava nella casa della madre. I re periodicamente sacrificavano un toro e poi si riunivano nottetempo nel tempio per giudicarsi reciprocamente e sacrificare chi avesse trasgredito a qualche legge. Il privilegio del re primogenito di dimorare nella casa della madre è indizio sicuro di matriarcato. Le riunioni segrete notturne dei dieci re dell'Atlantide hanno l'aspetto delle "società segrete" frequentemente riscontrate dagli etnologi presso i popoli dai caratteri matriarcali. La riunione notturna dei re aveva lo scopo di compiere il sacrificio del re magico per propiziare la fertilità. Altro rito di fertilità era quello che compivano col sangue del toro sacrificato. Il sacrificio di un uomo e di un toro è raffigurato in una famosa scena di una pittura paleolitica nella grotta di Lascaux. Abbiamo quindi la rappresentazione dei popoli preistorici e dei sacrifici cruenti degli agricoltori primitivi.

Graffito paleolitico di profilo di bisonte, su ciottolo rinvenuto al Riparo Tagliente (Grezzana, Verona). (da: R. Fasolo e F. Gaggia, cit.)



La città sacra dell'Atlantide era circolare e difesa da canali concentrici. Platone per questo particolare non prendeva esempio dalle città greche, ma esprimeva una idealizzazione che ritroviamo nei progetti fantastici dell'architetto e astronomo Metone narrati nella commedia "Gli uccelli" di Aristofane. Metone immagina di misurare l'aria per spartirla in lotti e poi progetta con squadra e compasso una città circolare con strade a raggiera e una piazza centrale. La ripartizione radiale dello spazio è riferita anche dal tardo scrittore latino Marziano Capella, che attribuisce agli etrusch la divisione della volta celeste in sedici parti nelle quali erano le abitazioni delle diverse Divinità. Le città radiali erano assolutamente ignote in Grecia e nel Vicino Oriente. Si trovano invece, secondo le mie ricerche, nell'urbanistica paleoveneta. Soprattutto a Padova, e in minor misura a Treviso, sono riconoscibili le tracce della cittadella di forma radiale e circolare(7). La cittadella di Padova era delimitata da un cerchio d'acqua. Naturalmente anche i cromlech circondati da un fossato rientrano nelle realizzazioni arcaiche del tempio circolare.
I riti etruschi prescrivevano l'escavazione di una fossa e l'erezione di un altare nel centro della città in onore degli antenati invocati a protezione. In quale epoca si formò questo rituale? L'urbanistica etrusca deriva da quella dei numerosi villaggi fondati a partire dal II millennio a.C. La frequenza della fondazione di nuovi villaggi può aver dato origine al rito passato agli etruschi. Non raramente i villaggi erano rotondeggianti e circondati da un fossato come è ancora riconoscibile nel caso di Cittadella, che da una campagna di scavi del 1990 risulta insistere su un abitato arginato del XIV-XIII secolo a.C. Il fossato soddisfaceva naturalmente l'esigenza di difesa dai nemici e dagli animali, ma bisogna anche considerare l'interpretazione magica del cerchio d'acqua come protezione intorno ai templi, alle tombe e alle città, per impedire il passaggio alle anime vaganti e ai dèmoni.
Se non erro, solo nella pre-protostoria dell'Europa nordoccidentale e della Padania troviamo aree sacre circolari in mezzo a campagne frazionate in lotti quadrati e bonificate da fossati dove necessario.
Il menhir posto dagli atlantidi al centro della loro città sacra circolare ha ispirato una interpretazione in senso archeoastronomico, sicché verrebbe a rappresenterebbe l'asse del mondo.

Lottizzazione della pianura dell'Atlantide tratta da una edizione inglese degli scritti di Platone. A sud è la città sacra (A) sulla riva del mare lunga quanto la pianura. Sui monti che proteggono gli altri lati ci sono numerosi villaggi. Le acque dei torrenti montani confluiscono in un canale (C)che avvolge tutta la pianura.



La città sacra dell'Atlantide sorgeva sulla riva marina di una grande pianura rettangolare di 3000 per 2000 stadi, pari a 533 per 355 km. La riva era il lato a mezzogiorno, mentre gli altri tre lati della pianura erano riparati dai monti. Si diceva che i suoi monti superassero per numero, grandezza e bellezza tutti quelli noti e che fossero ricchi d'acqua e densamente abitati. Questa descrizione geografica è il particolare che ha messo più in difficoltà gli studiosi dell'Atlantide. Io proporrei che si tratti della pianura padano-veneta in base a tre considerazioni. In primo luogo si tenga conto che Massimo Pallottino ha accolto l'ipotesi di Wilhelm Brandenstein secondo cui Platone si sarebbe valso di racconti della letteratura avventurosa dei viaggi dei micenei, come lascia supporre la predominanza delle figure preelleniche di Atena e Poseidone(8). Secondo il Brandenstein l'Atlantide si inquadrerebbe nelle tradizioni dei marinai e commercianti egei, avviati fin dal II millennio a.C. alla esplorazione e allo sfruttamento dell'Occidente, principalmente per importare ambra e stagno, da cui si spiega l'inserimento di questa metallo nella leggenda. La scoperta di asce e di una daga di tipo miceneo scolpite sui megaliti di Stonehenge dimostra le grandi distanze che venivano percorse. I reperti di manifattura micenea portati in luce negli scali protostorici del delta del Po e lungo i fiumi del trevisano testimoniano la loro frequentazione abituale dell'Adriatico.
Il secondo argomento consiste in una etimologia che vorrei proporre. Considerando che il cambiamento della l in r è permesso dalle leggi della fonetica, e che i toponimi Atria nel Polesine, Hadria nel Piceno, Atre in Puglia, Adranus in Sicilia e i termini analoghi dell'illirico Atrans, Adra e Adrion oros derivano da un comune tema antichissimo(9), io penserei che nascondano il nome dell'Atlantide.
Il terzo argomento è geografico. E' facile accorgersi della corrispondenza approssimata delle dimensioni e della orografia della Padania con la pianura dell'Atlantide. La nostra pianura si avvicina a un quadrilatero lungo 500 km, e largo da 50 a 200 km. E' circondata dai monti eccetto la riva marina a sud-est. In due sole pianure europee il mare sollevandosi è penetrato profondamente coprendo vaste aree: in quella atlantica francese e in quella padano-veneta. Ma solo quest'ultima ha i monti e il mare disposti quasi come quelli della pianura dell'Atlantide. Indubbiamente l'espandersi verso nord dell'Adriatico avrà sommerso villaggi e avrà formato litorali di barene che impedivano, come dice la leggenda, la navigazione.

In conclusione mi sembra di poter rafforzare la vecchia tesi di Lewis Spence che gli atlantidi fossero i popoli preindoeuropei(10). Il trapasso dai preindoeuropei delle Venezie, cui è attribuito il nome di euganei, ai paleoveneti non sembra sia avvenuto con una conquista cruenta. La fusione tra indigeni e paleoveneti sarebbe avvenuta in modo particolarmente pacifico, dato che nell'antichità i paleoveneti erano noti per due caratteristiche attribuite agli atlantidi: l'azzurro delle loro vesti e la velocità dei loro cavalli.
Se è grande la probabilità che la leggenda greca della città sacra sommersa sia nata nell'Adriatico, come mai, possiamo chiederci, tra i popoli dell'Adriatico non ne è rimasta traccia in racconti tradizionali? A dire il vero, nella raccolta, fatta da Andrea Dandolo nel Trecento, di tutto il materiale storico reperibile fin dalle origini di Venezia, si trova l'accenno a una catastrofica marea: "His diebus, Methamaucensis civitas similiter maris profligacionibus et incendii devastacionibus miseraliter devastata, tandem in totum submersa est"(11). Non esiste altra notizia su questa prima Metamaucum. Agli studiosi pare chiaro solo che debba essere distinta dalla seconda, che è l'attuale Malamocco. Secondo Wladimiro Dorigo l'antica Metamaucum era un insediamento altomedioevale fondato "su un più avanzato cordone dunoso, demolito dalla vicenda eustatica dell'XI-XII secolo"(12).
Il Dorigo fa solo una ipotesi. Invece io trovo suggestivo pensare alla analogia tra la leggenda della scomparsa della Methamaucensis civitas e quella della città sacra dell'Atlantide.

Note
1) C. Frison, Gli atlantidi e i cainiti. Due leggende sui popoli preistorici mediterranei, Abano Terme 1981.
2) F. Favory, Proposition pour une modélisation des cadastres ruraux antiques, in AA.VV., "Cadastres et espace rural", pp. 61-74, Parigi 1983.
3) AA.VV, Progetto Alto Medio Polesine-Basso Veronese: settimo rapporto, in "Quaderni di Archeologia del Veneto", X, 1994.
4) Favory, cit., fig. 4, p. 65.
5) R. Fasolo, F. Gaggia, Ritrovamenti di arte preistorica nel territorio veronese, in AA.VV.,"Il territorio veronese dalle origini all'età romana", Verona 1980.
6) A. Marinetti, Nuove testimonianze venetiche da Oderzo (Treviso): elementi per un recupero della confinazione pubblica, in "Quaderni di archeologia del Veneto", IV, 1988.
7) C. Frison, Dal pilpotis al doge, Libraria Padovana ed., Padova 1997.
8) M. Pallottino, Atlantide, in "Archeologia classica", IV (1952).
9) G. B. Pellegrini, A. L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 629-636, Padova 1967.
10) L. Spence, The History of Atlantis, Londra 1926.
11) A. Dandolo, IX, XI, 3. Citato da W. Dorigo, Venezia. Origini, I, p. 203 nota 58, Electa, Milano 1983.
12) Dorigo, cit., p. 195 nota 43.

Nota
(*) Pubblicato in "Quaderni Padani", n. 15 (1998).


Aprile 2008.

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