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di Carlo Frison |
La sovrapposizione della festa della Purificazione di Maria (Candelora) a
quella pagana dei Lupercali
sarebbe testimoniata a Padova da un orientamento astronomico dal Carmine verso il Monte della
Madonna, probabilmente utilizzato dai paleoveneti per fissare la data della festa.
L'orientamento sarebbe servito per determinare il giorno di inizio dell'anno, al 1° marzo, secondo il
calendario di Romolo, in uso presso altri popoli oltre quello romano. L'inizio dell'anno
al 1° marzo dell'antico calendario veneziano conserverebbe l'uso dei paleoveneti.
Nella zona del Carmine, come dicevo, ho individuato degli orientamenti astronomici della cittadella paleoveneta che venivano osservati dal centro verso i ponti dell'anello d'acqua, tra i quali l'osservazione del tramonto del sole dietro il Monte della Madonna su una linea che passa per il ponte della Bovetta di S. Leonardo. Poiché i canali di Padova risalgono all'epoca dei villaggi protostorici, e poiché molte strade ripassano su percorsi antichi, possiamo applicare alla posizione dei ponti della cittadella le ipotesi che sono state suscitate fin dalla scoperta delle terramare nel secolo scorso. La civiltà terramaricola costituisce il sottofondo comune dei popoli padano-italici, sul quale si basa l'etimologia del nome dell'autorità sacerdotale del 'pontefice', da pontem facere, in riferimento ai ponti sui fossati delle terramare. Non ci sono difficoltà a attribuire ai paleoveneti riti e sacerdozi simili, soprattutto perché la popolazione degli arusnati della Valpolicella aveva un "pontifex sacrorum raeticorum", ricordato in una iscrizione di età romana. I pontefici romani erano i canonisti del diritto sacro e delle tradizioni. Sovrintendevano ai riti e ai culti nel tempio, ne curavano i restauri e avevano il compito di compilare il calendario e registrare gli avvenimenti. Un pontefice minore doveva osservare il verificarsi del novilunio, annunciare le calende, cioé il principio del mese, e fissare le none e le idi approssimate alle principali fasi lunari. Indubbiamente i Lupercali sono più antichi del tempo di Romolo; però cadevano nel periodo dei due mesi mancanti nel calendario di Romolo. Forse il successivo calendario di Numa è derivato da profonde modifiche di quello di Romolo, necessarie per migliorarne l'adeguamento dei mesi lunari all'anno solare. Il calendario di Numa aveva 355 giorni e l'adeguamento era realizzato con la regola principale di intercalare un mese di 22 o 23 giorni ogni due anni. Il funzionamento del calendario di Numa non è sufficientemente documentato dagli autori antichi. Recentemente Leonardo Magini(4) ha proposto una nuova ricostruzione dei calcoli attribuibili ai pontefici astronomi, che dovrebbe superare le incongruenze apparenti del calendario. Magini dice che il calendario di Numa è "il primo calendario lunisolare dell'occidente antico". Questo presuppone l'esistenza precedente di due distinti calendari, uno solare e uno lunare. Nessuna indicazione precisa ci è pervenuta, invece, sul metodo di adeguamento del calendario di Romolo, applicato durante i due mesi mancanti. Possiamo solo ricostruirne un funzionamento possibile da poche notizie sparse. Il calendario di Romolo, era formato da 10 mesi, mancando gennaio e febbraio, uso presente anche nella etrusca Tabula capuana(5) del V sec. a.C. Sei mesi erano di 30 giorni e quattro di 31 giorni, per un totale di 304 giorni. Il numero dei giorni dei mesi fa pensare a un calendario solare. Magini arriva a questa stessa conclusione, facendo una deduzione da un passo dei "Saturnali" (1, 12, 39) di Macrobio, secondo cui l'integrazione dei due mesi mancanti era fatta per rispettare il "clima adatto", cioè le stagioni determinate dal sole. L'uso ufficiale di un calendario solare è insolita. Normalmente il calendario usato era lunare di dodici mesi di 29 o 30 giorni, più un mese intercalare, perché le feste religiose principali seguivano le lunazioni. L'eccezione del calendario di Romolo non può essere spiegata che supponendo in aggiunta un calendario lunare per le feste religiose. I due calendari separati sarebbero stati coordinati per adeguare le stagioni alle lunazioni con un metodo diverso da quello del mese intercalare. Fortunatamente abbiamo l'essenziale notizia dell'inizio e fine dell'anno di Romolo. La data tradizionale di fine dell'anno riferita da Ovidio (Fasti I, 163-164), era alla 'bruma' nome dato al giorno più corto, il solstizio invernale: "Bruma novi prima est veterisque novissima solis; principium capiunt Phoebus et annus idem". (Invernale è il primo giorno del sole nuovo e l'ultimo dell'antico; Febo [dio del sole] e l'anno cominciano insieme). La coincidenza della fine anno col solstizio non si verificava nel calendario di Cesare, il quale lo pone al 25 dicembre, quindi sarebbe da collocare questa coincidenza nel calendario di Romolo. Ancora da Ovidio abbiamo altre due notizie di date lunari per il calendario di Romolo. La prima è l'inizio dell'anno nel mese di marzo e l'inizio del mese di marzo alle calende, cioè al novilunio (Fasti III, 135-136): "Neu dubites primae fuerint quin ante Kalendae Martis, ad haec animum signa referre potes...". (Affinché non dubiti che le calende di Marte fossero le prime, puoi porre mente a questi segni...). La seconda notizia è la fine dell'anno al decimo plenilunio (Fasti III, 121): "Annus erat, decimum cum luna receperat orbem". (L'anno termina quando la luna riprende la rotondità la decima volta). Qui orbis significa la rotondità della luna piena, non la sua l'orbita attorno alla terra, perché l'orbita lunare è il mese siderale di 27,32 giorni, mentre per le feste religiose si contavano i pleniluni, che si succedono ogni 29,53 giorni, un po' più di un'orbita. Perciò, Alan E. Samuel(6) traduce questo verso con "a year was over when the moon returned for the tenth time to full moon". Il procedimento è obbligato dai fenomeni naturali. Esso consiste in un orientamento fisso del sole, il più pratico è il solstizio invernale, poi necessita un criterio per determinare la lunazione da cui iniziare il nuovo anno. Siccome di anno in anno le lunazioni si spostano rispetto al solstizio è necessaria una regola che si adegui agli spostamenti. Qualora il plenilunio cada nel giorno del solstizio, bisogna attendere altri due pleniluni, cioè quasi sessanta giorni, e al novilunio seguente si stabilisce il primo giorno di marzo del nuovo anno. In tutti gli altri anni in cui il plenilunio non coincide col solstizio la regola è modificata in questo modo. Si individua il plenilunio più vicino al solstizio, o precedente o successivo. Poi dal plenilunio individuato si attendono altri due pleniluni, così il novilunio seguente è quello del primo giorno dell’ anno nuovo. Con questa regola è fissata la celebrazione dei Lupercali al secondo plenilunio dopo il solstizio, che corrisponde a metà febbraio. Per trovare qualche sostegno a questa ricostruzione, bisogna allontanarsi da Roma. La concomitanza di solstizio e plenilunio come regola per accordare l'anno lunare con quello solare si trova nell'antico calendario degli angli, attribuibile anche alle tribù germaniche, che era di 12 mesi lunari e iniziava l'anno al plenilunio più vicino al solstizio invernale, stando a quanto riferisce Beda il Venerabile(7). Di maggiore significato è un dato archeoastronomico rilevato nel territorio padovano, rinomato nell'antichità per la produzione di lana. Ci sono motivi per ipotizzare che i Lupercali fossero festeggiati anche dai pastori del Veneto. In età del ferro, Padova aveva una cittadella sacra nella zona della basilica della Madonna del Carmine, come detto sopra. Una direzione astronomica osservabile dalla cittadella indicava il tramonto del sole 56 e 57 giorni dopo il solstizio, dietro le cime di due monti dei colli Euganei, il monte della Madonna e il monte Grande dei colli Euganei. Il numero di giorni è vicino a due lunazioni, per cui poteva corrispondere alla data dei Lupercali. Questo conteggio sarebbe molto antico, in considerazione di una notazione di Macrobio (Saturnali, 1, 13, 1-7), secondo cui Numa avrebbe fissato inizialmente l'anno di 354 giorni con due mesi di 28, gennaio e febbraio; e poi avrebbe aggiunto a gennaio 1 giorno, affinché solo febbraio, dedicato agli inferi, restasse di giorni pari considerati nefasti. I due mesi hanno insieme 56 giorni, che sono sette periodi nundinali, oppure 57 giorni includendo nel conto anche il giorno delle nundinae precedenti. Detto per inciso, al nostro tempo questo tramonto si verifica 54 e 55 giorni dopo il solstizio, cioè il 14 e 15 febbraio. Note (*) Revisione dell'articolo: C. Frison, Tracce di astronomia paleoveneta, in "Padova e il suo territorio", n. 71 (1998). 1) C. Frison, La cittadella di Padova paleoveneta [articolo in questo sito]. 2) C. Gasparotto, S. Maria del Carmine, Padova 1955, p. 67-68. 3) A. Gloria Il territorio padovano illustrato, Padova 1862, vol. II, p. 64, nota 1. 4) L. Magini,(a), Il calendario romuleo e i suoi rapporti con i fenomeni astronomici, in "Atti del II congresso di archeoastronomia. sett. 2002". Società italiana di Archeoastronomia. L. Magini, (b), Astronomia e calendario nell'antica Roma, in "Rivista italiana di archeoastronomia, I (2003). 5) M. Cristofani, Tabula capuana. Un calendario festivo di età arcaica, Olschki, Firenze 1995. 6) Samuel, Alan E, Greek and Roman Chronology, München 1972, p. 168, nota 1. 7) Gaspani, Adriano, Externsteine, santuario naturale degli antichi Germani (parte seconda), in "Terra Insubre", 44 (2007). ![]() Ultimo aggiornamento il 20 febbraio 2012. |