LA DETERMINAZIONE DELL'ASSE DEL MONDO
CON IL LITUO PRESSO GLI ETRUSCHI(*)

di Carlo Frison

Il lituo era uno strumento astronomico usato nel rito etrusco dell'inauguratio per individuare la direzione del polo nord, necessaria per procedere alla divinazione. Sono trattati anche i significati religiosi e le utilità pratiche degli altri orientamenti astronomici.

Introduzione
Lo spettacolo della rotazione delle stelle attorno al polo nord è stato plausibilmente all'origine delle prime domande sulla posizione della terra nello spazio. La prima idea che poteva sorgere era la connessione del moto del sole con quello delle stelle. Gli strumenti per confermarla erano un semplice gnomone per tracciare sul terreno la linea mediana della posizione del sole (meridiana) e un'altro meno semplice per determinare con precisione il polo: le direzioni ricavate di giorno e di notte coincidono. Al nostro tempo individuiamo approssimatamente il polo a occhio, guardando verso la stella detta "polare" (alfa Ursa minor, di magnitudine 2,1), grazie alla sua buona vicinanza al polo. Diversamente, retrocedendo nel passato fino al neolitico, solamente nei decenni intorno al 2795 a.C. ci si poteva avvalere della stella Thuban (alfa Draconis, di magnitudine 3,7) discretamente luminosa e vicina polo. A parte quel breve periodo favorevole, la determinazione seppure approssimata del polo richiedeva qualche strumento. La domanda da porci è quindi a quanto risale la scoperta della coincidenza della direzione del polo con quella della meridiana. Un sito neolitico centroeuropeo portato alla luce qualche anno fa ci trasporta in un'epoca sorprendentemente antica. Presso Goseck (Sassonia-Hanhalt) è stato rilevato un allineamento verso nord in un fossato circolare di un'area probabilmente sacra, al quale non corrisponde un altro allineamento in direzione sud, pur essendocene altri due verso i solstizi, per cui si può supporre che quello verso nord riveli la capacità dell'individuazione dell'asse polare con qualche strumento (fig. 1). Non corrispondendo alla porta settentrionale un'altra porta verso sud, si può supporre che la direziona nord sia stata determinata individuando l'asse polare in qualche modo. Un metodo semplice poteva essere l'osservazione della rotazione di una stella attorno al polo, stando seduti durante tutta la notte a una certa distanza dalla porta. Da una posizione ricavata con l'esperienza, si sarebbe vista una certa stella girare tangenzialmente all'uno e all'altro stipite della porta. Il sito di Goseck è un caso particolare. Non mi sono noti altri siti che facciano supporre questo metodo di individuazione del polo; perciò non ne terrò conto nella questione dell'uso del lituo nel rito etrusco dell'inauguratio e della tracciatura del cardo. dell'inauguratio e la tracciatura del cardo.

Fig. 1 - Ricostruzione dell'area cultuale neolitica di Goseck (Sassonia-Hanhalt). L'ombra è gettata dal sole sorgente al solstizio invernale. In basso è la porta diretta verso nord.



Le notizie più antiche sugli strumenti astronomici provengono dalla civiltà egizia. Gli egizi usavano insieme il bay, una nervatura di palma fessurata a una estremità, e il merkhet, un filo a piombo fissato a una squadra (fig. 2). Pare che il termine merkhet fosse usato anche per indicare i due strumenti insieme. Si suppone che il filo a piombo fosse tenuto in mano da una persona, mentre un'altra persona tenesse in mano la nervatura fessurata traguardando la corrispondenza di una stella con filo a piombo (1). Il merkhet avrebbe permesso di ricavare l'allineamento esatto nord-sud, per esempio, della piramide di Giza, che ha uno scartamento di soli quattro primi d'arco, una precisione al limite delle possibilità a occhio nudo (2). Simile precisione è difficilmente ricavabile dall'ombra del sole segnata con uno gnomone, a causa delle basse latitudini dell'Egitto. Un metodo proposto per spiegare l'esatto orientamento è quello dell'osservazione della levata e del tramonto di una stella sopra una superficie liquida, o un muro perfettamente orizzontale, da cui ricavare la meridiana come linea bisettrice dell'angolo formato dalle due direzioni (3). Detto per inciso, è stato ipotizzato che anche nei siti pre-protostorici europei fosse osservato il sorgere e il tramontare delle stelle sopra l'orizzonte artificiale creato dai dolmen o dalle palizzate che delimitavano le aree sacre. L'ingresso delle piramidi costruite nell'Antico Regno è sempre rivolto al nord, e i loro cunicoli piegano verso il basso di un angolo tale che le stelle circumpolari potevano essere facilmente osservate dall'interno, in particolare Thuban, la stella polare dell'epoca (4), fatto che non sarebbe casuale. Un altro metodo proposto consiste nella ricerca di due stelle circumpolari che per breve lasso di anni del loro moto di precessione si trovino radialmente opposte rispetto al polo, in modo che a ogni rotazione diurna si sovrappongano a un filo a piombo, dando la direzione del polo. Il breve periodo di applicazione del metodo darebbe la data di costruzione delle piramidi.

Fig. 2 - Strumento astronomico egizio composto dal bay, nervatura di palma (altezza cm 34) fessurata a un'estremità, e dal merkhet, squadra con filo a piombo (lungheza 11,5 cm). Da C. Gallo, L'astronomia egizia, Muzzio editore, Padova 1998.



I gromatici latini
Venendo alle civiltà europee storiche antiche, il problema dell'osservazione del polo è posto dalla terminologia dei testi dei gromatici e non da orientamenti esatti dei monumenti. Ogni regione aveva un determinato sito, denominato umbilicus dai latini e omphalos dai greci, che era considerato il centro di rotazione della volta celeste. Al momento della fondazione di una città, o di una ripartizione agraria o di un tempio, era celebrato presso l'umbilicus il rito dell'inauguratio, che prevedeva lo scavo di una fossa detta mundus, concepita quale punto di passaggio dell'asse del mondo. Il senso religioso dell'asse era il collegamento delle stelle circumpolari artiche (dove avevano dimora gli spiriti dei posteri in attesa di scendere in terra) con le stelle dell'emisfero antartico, che sono sempre nascoste o visibili per un arco compiuto sopra l'orizzonte, e poi sprofondano come se scendessero negli inferi (erano gli spiriti delle generazioni passate). Astronomicamente parlando, l'asse polare passa per il centro della sfera terrestre, ma il senso religioso, che solitamente non coincide con la rigorosità scientifica, richiedeva che passasse per il luogo cultuale. Il sacerdote detto àugure, o il re-sacerdote in tempi più antichi, tracciava sul terreno "a poli axe" la linea meridiana detta cardo. Dal senso letterale dei termini si dedurrebbe che la linea meridiana fosse individuata osservando le stelle circumpolari, e non dall'ombra dello gnomone. Infatti "cardo", ovvero "cardine", significa "punto intorno cui gira qualche cosa". E parimenti il termine greco "polo", avvicinabile a pélesthai (girare), ha il significato di perno. Tuttavia, dai testi dei gromatici latini non si ricava niente che possa legare il rito dell'inauguratio a qualche metodo di individuazione del polo, o almeno è il significato astronomico del rito dell'inauguratio che non è chiaro. È da rilevare che il rito era di origine etrusca, a detta degli stessi gromatici, ed era probabilmente di carattere misterico. Nei testi latini troviamo solamente la procedura pratica della divisione dei terreni, dalla quale dobbiamo ricavare qualche appiglio per l'interpretazione del rito. La perplessità da superare è l'apparente contraddizione tra le esatte direzioni del cardo e del decumano sui punti cardinali prescritte dal rito e la pratica esecuzione ammessa dai gromatici, che per tanti motivi trasgrediscono la regola. Igino Gromatico pare lamentarsi dell'errore di quei gromatici che, per ignoranza, prendono come direzione est quella della levata del sole in un giorno qualsiasi, comportando di conseguenza che il cardo, ortogonale alla direzione della levata, non venisse a coincidere con la direzione del mezzodì. Senonché, dopo aver stigmatizzato gli errori degli ignoranti, Igino ammette la convenienza di tracciare le divisioni delle centuriazioni secondo altre direzioni in deroga dei punti cardinali prescritti dal rito (5). I motivi erano diversi. Gli orientamenti differenti permettevano di distinguere una centuriazione da un'altra vicina, oppure le direzioni dei limiti dei campi erano adattate agli ostacoli della natura del luogo come i pendii, i fiumi e le coltivazioni, e infine si trovava comodo dividere i terreni parallelamente a opere preesistenti come le vie di grande comunicazione. Le definizioni di limites maritimi e limites montani hanno il senso di divisioni agrarie perpendicolari alla riva marina o alle catene montuose, in modo che i fossi seguissero la massima pendenza per il deflusso delle acque. Di fatto, le centuriazioni approssimatamente disposte secondo i punti cardinali sono così rare che gli archeologi le ritengono casuali.
Discorso simile è da fare per il mancato rispetto degli orientamenti verso i punti cardinali delle strade degli abitati. Vitruvio, indifferente alla regola del rito etrusco, consigliava di disporre le strade in funzione dei venti. Della stessa opinione si era espresso Aristotele, che consigliava anche, ovviamente, di riguardare l'esposizione solare (6). Tuttavia, ci sono alcuni casi di città di orientamento quasi regolare (entro uno o due gradi di scostamento dai punti cardinali) che ci fanno pensare che talvolta fosse applicato il rito alla lettera. I casi regolari che ho raccolto in ambito italiano sono Marzabotto e Capua, città etrusche, la colonia sibarita di Paestum e le città romane di Firenze (la pianta del suo castrum è riconoscibile tra il duomo, Palazzo Strozzi e piazza della Signoria), Trieste (che ha il nucleo antico riconoscibile tra la basilica romana e S. Maria Maggiore), Novara (con il nucleo originario un po' alterato), Caraglio (presso Cuneo, sul luogo del Forum Germa, forse germanorum), Pisa (ipotizzabile in base qualche indizio topografico) e Vasto (col tracciato viario a trama ortogonale allineato ai resti delle terme romane). Piuttosto che immaginare deroghe dall'orientamento rituale in tutte le città che non rispettano la regola, è preferibile credere a una distinzione tra gli assi del rito inaugurale e le vie realizzate.

Fig. 3 - Pagus Ruthena è il nome che gli archeologi danno al quartiere che ha restituito i più antichi reperti di abitati protostorici di Padova, databili alla fine del secondo millennio a.C. Tutte le strade rettilinee di quest'area hanno orientamenti astronomici significativi, due secondo i punti cardinali e le altre su posizioni della luna e di stelle appartenenti, per gli antichi, alla costellazione del Centauro. (A, via S. Francesco. B, via Orto Botanico.)

Per comprendere questa distinzione rivolgiamoci alla più grande città padana dell'età del Ferro, Padova. A Padova, i più antichi reperti archeologici, databili agli ultimi secoli del secondo millennio a.C., sono stati trovati nel quartiere attorno a via Rudena (fig. 3), caratterizzato da poche strade rettilinee quasi radiali rispetto al centro della zona. Le strade hanno orientamenti astronomici significativi (7). Una, via Galilei, è diretta verso est, un'altra, un tratto di via del Santo, verso nord, e poi ce ne sono altre dirette verso punti particolari della luna all'orizzonte o di stelle della Croce del Sud, anticamente appartenute a quella del Centauro, da considerare in relazione al culto veneto dei cavalli. Se ne deduce che il rito di fondazione presso i veneti antichi richiedeva le direzioni dei punti cardinali, ma non escludeva la tracciatura di strade secondo altre direzioni astronomiche. Inoltre, il cardo esiste solo nel tratto dal centro del quartiere verso nord, suggerendo che sia stato ricavato dall'osservazione del polo, e anche la via dal centro verso est fa pensare all'osservazopne della levata del sole ma non del tramonto. Questi due punti cardinali avrebbero avuto maggior rilevanza religiosa nei tempi arcaici. Il cardo e il decumano, dovendo corrispondere a esigenze solo rituali, potevano diventare strade secondarie rispetto a quelle diversamente orientate, e la loro assenza in tanti luoghi sarebbe dovuta alla loro scomparsa e non al mancato rispetto del rito. La funzione rituale del cardo e del decumano è esemplificata dal racconto dell'auspicio tratto da Romolo fondando Roma. Le due direzioni cardinali dividevano il cielo in quattro parti per distinguere i segni divini (il volo di uccelli o la caduta di fulmini) favorevoli o sfavorevoli a seconda della parte del cielo in cui si manifestavano. Il grado di favore corrispondeva agli Dèi risiedenti in ciascuna delle quattro parti del cielo. La massima buona fortuna era annunciata da quella di nordest, un po' meno favorevole da sudest, avversa da sudovest e del tutto nefasta da nordovest. Questo era il senso proprio delle due direzioni cardinali. Che poi i gromatici chiamassero cardo e decumano, non le direzioni veramente cardinali, ma le due principali strade ortogonali qualunque orientamento avessero, è da interpretare come applicazione dei nomi tradizionali in senso traslato. La conservazione delle due direzioni cardinali determinate al momento della fondazione della città sarebbe stata necessaria se il loro umbilicus avesse continuato a essere sito dei riti di divinazione. Invece, nelle città potevano esserci diversi luoghi consacrati all'auspicio, detti auguracula, situati in spazi aperti con la visuale libera. Infatti, il Capitolium di Roma, che era approssimatamente orientato ritualmente, aveva un auguraculum pur non essendo il colle su cui Romolo celebrò il rito di fondazione. Gli orientamenti cardinali potevano essere rispettati anche nei luoghi istituzionali di raduno del popolo, come si vede nel Comizio romano, che aveva la Curia a nord e la tribuna a sud, e nei Saepta Iulia, recinto elettorale progettato da Giulio Cesare, che conserva presumibilmente una disposizione più antica con l'asse nord-sud. Un altro capitolium orientato era a Segni (8).
Resta da analizzare il mancato rispetto delle direzioni rituali nella costruzione dei templi. I templi greci avevano di norma la facciata a oriente, pur con ampio scostamento dall'esatto punto cardinale. Invece i romani non hanno seguito nessuna regola negli orientamenti dei templi, costruendone anche con la facciata a settentrione (9). L'indifferenza verso gli orientamenti sembrerebbe quasi sottintendere il culto verso l'Essere supremo celeste, cui si offre in sacrificio il profumo delle vittime bruciate sull'ara, che sale verticalmente. L'orientamento dei templi etruschi spazia entro i quadranti sudest e sudovest, con una leggera preferenza attorno al sud (10). Sarebbe da chiedersi quale significato abbia il fatto che nessun tempio etrusco ha la facciata rivolta a nord. Di fatto, i casi di orientamento esatto reperibili in bibliografia sono quelli verso sud dei templi di Marzabotto, di Apollo a Roma, di Giove Anxur a Terracina, e, un po' approssimatamente, di Civitacastellana e Bolsena.

Simbolismo del cardo e del decumano
Il simbolismo del cardo e del decumano, oltre alla divisione della volta celeste secondo le sedi degli Dèi, ha anche un significato terreno e umano. All'incrocio principale (umbilicus) era scavata la fossa del mundus per versarvi doni ai mani, gli spiriti dei morti. Altri riti erano celebrati ai crocevia delle ripartizioni agrarie, preso i quali erano eretti i compitalia, edicole sacre dedicate ai lari, le divinità del podere rustico. Sul collegamento tra il culto degli antenati e le direzioni cardinali qualcosa dovrebbe dirci la posizione dell'officiante, che è l'unico aspetto rituale tramandatoci, oltre all'uso del lituo di cui si dirà in seguito. Sulla diversità delle posizioni riportate dagli autori antichi non ho trovato nella saggistica nessun tentativo di interpretazione. Rimanendo entro i testi dei gromatici l'argomento è insondabile, per cui bisogna appellarsi a concetti mitologici ben noti.
Igino Gromatico, Frontino e Vitruvio, affermano che l'àugure praticava il rito rivolgendosi verso ovest. Diversamente, Dionigi da Alicarnaso, Plutarco, Servio, e Isidoro Ispalense indicano l'orientamento verso est. In comune a queste due scelte è la direzione del decumano. Il simbolismo dovrebbe essere quindi quello del moto del carro solare che si leva (rinasce) da est per scendere al tramonto nel regno dei morti. Il pensiero sottinteso è la speranza della rinascita. La direzione dei decumani era la più importante per l'organizzazione del territorio. Le centuriazioni avevano strade larghe sui decumani e strette (e meno numerose nei tempi più antichi) sui cardini. In contrasto con i suddetti autori, altri (Varrone, Festo, Plinio e Tito Livio) indicano il rivolgersi dell'officiante nella direzione del cardo verso sud (11). Tito Livio ci ha fortunatamente lasciato una descrizione un po' meno scarna del rito, che getta uno sprazzo di luce sul significato della posizione dell'officiante. Livio descrive la compresenza nel rito di un sacerdote e di un re. Il re Numa Pompilio, dall'auguracolo dell'arce, guarda a mezzodì, mentre l'àugure guarda verso oriente. Credo che le due direzioni simbolizzino due diversi intendimenti dello scorrere del tempo. Per il sacerdote il decumano, tracciato nel senso del corso del sole, simboleggerebbe la speranza della rinascita di ognuno, mentre per il re la direzione del cardo rappresenterebbe il succedersi delle generazioni del popolo di cui è il condottiero. Questa interpretazione si basa sui termini gromatici di pars postica (da intendere come sede dei posteri) per il semicielo alle spalle del re e di pars antica (da intendere come sede degli antenati) per il semicielo davanti al re. Il re quindi è al centro della processione ideale delle generazioni, avendo davanti di sé gli antenati e dietro i posteriori (12). Che la sede degli antenati sia a meridione è facilmente comprensibile, essendo la parte del cielo percorsa dal sole divinizzato, simbolo del destino dell'anima eterna; invece richiede una comparazione etnologica la definizione del nord come sede delle generazioni future. L'antropologa Marija Gimbutas afferma che nell'emisfero settentrionale la diffusione della concezione sacra dell'orso risalirebbe al paleolitico superiore (13). Da questa deriverebbe la denominazione di "orse" di due costellazioni circumpolari. Secondo le tradizioni popolari l'orsa fu una antenata, una madre generatice. In inglese "birth" (nascita) è legato etimologicamente a "bear" (orso). Altri collegamenti etimologici tra nascita e orso sono nelle lingue germaniche. Nelle feste slave, i riti e i culti legati all'orso sono attestati in Bielorussia fino al XIX secolo. In Lituania orientale la puerpera è chiamata orsa. Questa tradizione compare in Grecia nei cerimoniali di iniziazione ai riti di Artemide, in cui le fanciulle, dette "orsette", mimavano le movenze di un'orsa. La posizione rituale di Numa che volge le spalle al nord è quindi conforme alla concezione della sede dei posteri presso le costellazioni delle Orse. Adesso è possibile spiegare perché manca negli orientamenti dei templi etruschi quello verso nord. La direzione dei templi esprime una relazione tra la vita dell'uomo e la divinità, perciò non avrebbe senso rivolgere il tempio a nord, che è la zona delle generazioni non ancora nate.
Come si vede, le comparazioni etnologiche colmano qualche lacuna della descrizione del rito, che è sicuramente etrusco, ma non esclusivamente. Dobbiamo integrare le notizie sull'auspicio con quelle della divinazione col volo degli uccelli fatta da altri popoli. In tre autori greci troviamo concezioni che ci aiutano a proseguire la ricerca. Omero (Iliade, M, 237-240) mette in bocca a Ettore, incredulo degli indovini, la seguente risposta a Polidamante: "... e vuoi che io creda a uccelli dalle ali spiegate: ma di essi io non mi do né cura né pena, sia che volino a destra verso il sole e l'aurora, o a sinistra verso la tenebra e l'ombra." Se ne deduce che l'auspicio era preso guardando a nord, avendo la parte favorevole a est (l'aurora) e quella avversa a ovest, come per gli etruschi. Anche in Platone (Leggi, VI, 760, d) troviamo la direzione verso nord laddove definisce degli insediamenti (probabilmente cittadelle consacrate perché riservate all'addestramento, ovvero alle iniziazioni, dei giovani) orientati "verso destra, ossia verso oriente", quindi con lo sguardo dell'officiante verso nord. Altrove Platone parla di città costruite a forma di cerchio (Leggi, VI, 778, c), e della metropoli circolare di Atlantide (Crizia, 115 C - 116 B); ma nell'antichità la forma circolare è più idealizzata che realizzata, tanto che nessuna città del mondo classico era circolare. Questa forma ideale appare anche in una fantastica narrazione di Aristofane (Gli uccelli, 995-1009), dove il massimo commediografo greco descrive il progetto urbanistico dell'astronomo Metone che spartisce con un regolo curvo e un compasso l'aria "presa nel suo insieme" di forma che assomigila a "un forno" (una cupola), creando una piazza in mezzo con le vie che vi sboccano in tutti i sensi come raggi. I passi estratti dai tre autori greci delineano una tradizione molto arcaica, precedente a Omero, eppure assonante con la concezione del templum e dell'auspicio etrusco. Sono cenni sparsi riassumibili nelle idee di una città-tempio circolare, dell'osservazione del volo degli uccelli e dello sguardo rivolto verso nord. Non possiamo distogliere la mente dall'ipotesi che all'origine di queste idee siano i siti circolari neolitici centroeuropei di cui uno è stato citato nell'introduzione del presente saggio.

Lo strumento del rito
La tracciatura del cardo "a poli axe" avrebbe origine in una comune e arcaicissima tradizione europea di osservazione del nord. Rileggiamo il passo enigmatico in cui Igino Gromatico (Dei limiti, La 170, 3 ss.) descrive le operazioni del rito etrusco. "Molti che ignorano il computo del cielo (coeli ratio) si sono lasciati guidare dal sole, cioè dal suo sorgere e dal suo tramontare, benché il suo corso non possa essere abbracciato in un'unica volta con la groma. Collocata la groma secondo gli auspici (posita auspicaliter groma), e magari anche alla presenza dello stesso fondatore, hanno preso in considerazione il sorgere più vicino e hanno dato il via in entrambe le direzioni agli allineamenti con i quali il cardo non ha coinciso nell'ora sesta." La motivazione dell'ignoranza non è verosimile. Un agrimensore capace di usare uno strumento come la groma, ben più complesso del semplice gnomone, non poteva non sapere che l'asse del decumano della groma abbraccia il corso completo del sole dalla levata al tramonto solamente nel giorno dell'equinozio. Si direbbe che questa accusa di ignoranza serva a Igino per evitare l'accenno alla distinzione tra un precedente operare "alla etrusca", riguardante l'auspicaliter, e il successivo uso della groma, strumento di origine greca adottato dagli agrimensori, non dagli àuguri, per la grande precisione nella divisione dei terreni che consentiva. L'auspicaliter indubbiamente si riferisce alle direzioni rituali cardinali indispensabili alle divinazioni, il cui mancato rispetto a causa dell'ignoranza non è credibile. Non resta che discutere se auspicaliter abbia avuto il significato della iniziale osservazione del polo, in quanto lo sguardo rivolto a nord è la migliore posizione per distinguere tra l'auspicio del massimo favore a nordest e quello del massimo sfavore a nordovest.

Fig. 4 - Augure scolpito su cippo funerario. Rinvenuto presso la chiesa di San Tommaso di Firenze.



Secondo Servio (Aen. 7, 187), scrittore del IV sec. d.C., l'unico e necessario strumento degli àuguri era il lituo, che usavano per "designare gli spazi del cielo, poiché non era lecito con la mano". La tradizione attribuisce a Romolo il rito di fondazione svolto unicamente col lituo. La forma di bastone da pastore del lituo (fig. 4) è coerente con l'opinione che nei tempi più antichi il ruolo di àugure sarebbe stato ricoperto solo dai patrizi, gente originariamente dedita alla pastorizia. Si crede che risalga al 300 a.C. la concessione ai plebei dell'accesso a questo privilegio con la legge Ogulnia, che fissava il numero degli auguri a nove, dei quali cinque plebei. Dalla origine di bastone pastorale del lituo è ovvio passare al carattere della religione dei pastori, basata sul culto dell'Essere supremo celeste, e avente il calendario lunare con le feste principali celebrate durante i pleniluni. Il lituo era usato, oltre che dagli etruschi, anche dagli italici in generale, che lo avevano come insegna dei sacerdoti (14). Su questo presupposto ho proposto sopra l'interpretazione come cardo e decumano di due strade di Padova. L'ipotesi di esistenza del rito dell'inauguratio presso i veneti è basata sul termine àugure usato per l'indovino padovano C. Cornelio, nominato in brevi annotazioni a proposito della sua predizione della vittoria di Cesare a Farsalo. L'interpretazione preferita degli studiosi è che questo Cornelio fosse veramente un àugure (15) e quindi che nella città di Padova ci fosse almeno un auguraculum, ipotesi che si appoggia anche sull'iscrizione AUG (forse augur) in una lapide padovana (C.I.L., V, 2867) e su una etimologia di Patavium che vorrebbe derivare il nome della città da "apo toy petasthai" = "dal volo" (Servio, Aen. I, 247), cioè dall'auspicio condotto da Antenore nella mitica fondazione di Padova.

Fig. 5 - Lituo usato dal magistrato-sacerdote per tracciare la divisione del coelum per trarre i presagi e gli auspici. VI secolo a.C., bronzo laminato, altezza 11,3 cm; larghezza 8,6 cm; spessore 0,2 cm. Da Sant'Ilario d'Enza, Reggio Emilia.



Uno strumento astronomico
Il significato simbolico di un oggetto è connesso solitamente al suo uso pratico. Nel caso del lituo, si dovrebbe pensare che è diventato simbolo dell'autorità sacerdotale dell'àugure in conseguenza del suo impiego pratico nell'individuazione delle direzioni cardinali della ripartizione del cielo. A causa della forma circolare dell'impugnatura, il lituo non era adatto all'uso come gnomone, cioè al rilevamento del moto del sole. Non resta che supporre che fosse usato come strumento per individuare il polo. Un appiglio in questo senso è offerto da un passo di Festo (351 a): "Stellam significare ait Ateius Capito laetum et prosperum, auctoritamen secutus P. Servili auguris, quae ex lamella aerea adsimilis stellae locis inauguratis infigatur." ("Ateio Capito dice che, secondo l'autorità dell'augure P. Servilio, l'indicare la stella è favorevole e apporta buona fortuna, per cui una lamina bronzea simile a una stella è infissa nei luoghi inaugurati.") Questo passo, che associa la divinazione del volo degli uccelli alle stelle, e quindi all'osservazione notturna del cielo, ci permette di supporre che all'origine del lituo ci fosse l'uso dei pastori di misurare le distanze tra le stelle ponendo come regolo la forma circolare del loro bastone. Per rendere proponibile l'ipotesi è sufficiente immaginare qualche modo in cui poteva essere individuato il polo con i due tipi di lituo raffigurati nell'arte etrusca, quello a semplice semicerchio e quello a spirale.

Fig. 6 - Individuazione del polo con il lituo rinvenuto a Sant'Ilario d'Enza. Le costellazioni sono nella posizione del 500 a.C. circa.



Per il tipo a spirale, consideriamo le dimensioni del lituo di Sant'Ilario d'Enza datato al VI secolo a.C. (fig. 5), l'unico di cui si supponga un uso reale nell'auspicio. Il suo diametro è di 8,6 cm. Siccome vi manca il fusto è immaginabile che la sua lunghezza totale potesse essere tre volte il diametro o poco più, secondo le proporzioni usuali delle raffigurazioni. Nella parte superiore la spirale si allarga in una sorta di protuberanza, che si suppone in asse con il fusto. La protuberanza contraddice la definizione del lituo, unanimemente data dagli antichi, di "bastone ricurvo senza nodi", evidentemente applicabile solo in caso di un bastone di legno. Gli archeologi suppongono che la protuberanza fosse una mira da abbinare a un traguardo per orientare la visuale verso un punto determinato. Credono pertanto a un reale impiego del lituo nella pratica delle ripartizioni agrarie. L'obiezione da opporre all'uso come strumento da agrimensura non è solo quella della mancanza dell'attribuzione di una funzione alla spirale, ma soprattutto che la ripartizione agraria richiede la tracciatura di due linee incrociate solitamente a angolo retto, per cui non è sufficiente determinare un'unica linea. È preferibile quindi spiegare la protuberanza con un metodo per individuare il polo. Questo è possibile tenendo un lituo di simili dimensioni a 25-30 centimetri dagli occhi, disponendo la protuberanza su alfa UMi e accostando la curvatura su beta UMi. In questo modo la borchia incastonata al centro della spirale risulta sul polo e il fusto potrebbe essere stato sulla linea passante per alfa UMi e il polo (fig. 6). La figura ha la posizione delle stelle intorno all'anno 500 a.C., in considerazione della precessione degli equinozi.

Fig. 7 - Individuazione del polo con il lituo raffigurato nella lapide rinvenuta presso la chiesa di San Tommaso di Firenze. Le costellazioni sono nella posizione del 500 a.C. circa.



Per i litui del tipo a semicerchio semplice, di cui abbiamo solo raffigurazioni artistiche, supponiamo che il diametro fosse circa uguale al precedente tipo e che la forma fosse quella del lituo raffigurato nella lapide rinvenuta presso la chiesa di San Tommaso di Firenze, riportato nella figura 4. In questo caso la individuazione del polo è molto più approssimata. Tenendo in mano il lituo in modo che la curvatura si inserisca tra le stelle alfa UMi e beta UMi e il fusto attraversante il quadrangolo dell'Orsa Maggiore (fig. 7), il polo risulta interno all'ansa. Lo si comprende ripetendo l'osservazione più volte nel corso della notte, che obbliga a girare la mano come un perno per seguire le stelle che passano dalla culminazione superiore a quella inferiore, mentre l'altezza del braccio varia di poco. Data l'imprecisione di questo metodo, si può supporre che continuasse a essere tramandato anche in età storica, per rispetto di una arcaica tradizione dell'uso del bastone da pastore nella presa degli auspici.
Concluse le argomentazioni intorno all'astronomia del templum etrusco, non posso tralasciare il metodo più semplice immaginabile per individuare il polo, noto agli antichi cinesi, ma in Occidente attestato esplicitamente per la prima volta in un passo del "Thietmari chronicon", che attribuisce a Gerberto d'Aurillac, il papa Silvestro II, la lettura delle ore dall'osservazione della rotazione delle stelle con riferimento alla stella polare dell'epoca: "horologium fecit, illud recte constituens, considerata per fistulam quamdam stella nautarum duce", ("fece un orologio, disponendolo verticalmente, per osservare attraverso una canna forata la stella che guida i naviganti"). Al tempo di Gerberto (fine del X secolo) i naviganti potevano servirsi di alfa UMi, allora distante di poco più di 6° dal polo, per distinguere il nord. Gerberto avrebbe contato le ore notturne notando in qualche modo la rotazione della stella lungo la circonferenza del foro del tubo puntato esattamente sul polo. Stando al giudizio dato dagli studiosi su Gerberto, di intelligenza da erudito ma non di pensatore originale, questo metodo dovrebbe essere precedente. L'osservazione delle stelle attraverso un tubo compare già in Aristotele (Della generazione degli animali, 780 b, 19-23), tuttavia per dire che il tubo rende la vista acuta, senza riferimento a qualche stella particolare.

Note
(*) Pubblicato in E. Antonello (a cura di), Astronomia culturale in Italia,, Società Italiana di Archeoastronomia, Milano 2011.
(1)   C. Gallo, L'astronomia Egizia, Franco Muzio editore, Padova 1998, p. 65-67.
(2)   G. Romano, Le costellazioni: origini e loro utilizzo, in "Astronomia UAI", n. 2/1990.
(3)   Gallo, op. cit., pp. 84-85.
(4)   C. Walker (a cura di), L'astronomia prima del telescopio, Edizioni Dedalo, Bari 1997, p. 43.
(5)   M. Ghelfi, Il templum caeleste e la natura loci nei Gromatici Veteres, in "Rivista italiana di archeoastronomia", I (2003), pp. 158-160.
(6)   F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956, pp. 56-57.
(7)   C. Frison, Padova protostorica, in "Padova e il suo territorio", n. 23 (1990).
(8)   Castagnoli, op. cit., pp. 68-70 con note.
(9)   A. Aveni e G. Romano, Orientamenti di templi e rituali etruschi, in "Rivista di Archeologia", vol. XVIII (1994).
(10) Aveni e Romano, op. cit., tabella I.
(11) Castagnoli, op. cit., pp. 68-70 con note.
(12) M. Bettini, Antropologia e cultura romana, NIS, Roma 1986, p. 154.
(13) N. Lanciano, M. Tutino, Orse del Cielo, Orse della Terra, in "Rivista italiana di archeoastronomia", III (2005).
(14) K. Kroll, Lituus, in "Pulys Real-Enc. classisch. Altertumswiss", col. 805, rig. 29 ss., Stuttgart, 1926.
(15) L. Lazzaro, Fons Aponi, Francisci editore, Abano, 1981, pp. 76-78.


Aprile 2012.
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