L'IDEOLOGIA DELLA PROPAGANDA OMOSESSUALE

di Carlo Frison

Le leggi che riguardano il matrimonio devono essere sorrette da una definizione razionale di matrimonio. I limiti della libertà non possono essere allargati a piacere, ma devono essere desunti quanto hanno detto i grandi filosofi. Kant e Hegel ci offrono argomenti in sostegno della famiglia naturale e unica. È necessaria perciò l’analisi dell’ideologia che ispira la propaganda della famiglia omosessuale con possibilità di adozione di minorenni. Dal pensiero del più noto sostenitore della liberazione sessuale, Marcuse, si arguisce la strategia escogitata per modificare la società, mirando all’edificazione di una nuova utopia che incardina la vita dell’uomo su due interessi: lavoro ed eros. È l’aggiornamento del falansterio di Charles Fourier. Lo scopo politico nascosto è la distruzione della democrazia.

INTRODUZIONE. L’istituzione del matrimonio omosessuale, addirittura con possibilità di adozione di minorenni, sarebbe da prendere come stravaganza di breve durata, se non fosse stata introdotta in paesi tra i più progrediti in tutti i campi culturali, oltre che scientifici. Si resta perplessi osservando la timidezza di tanti politici nel trattare l’argomento, in attesa di vedere quale posizione diventerà maggioritaria. È da chiedersi da dove tragga forza questo progetto ormai palese di sovvertire i principali valori morali e tradizionali. Eppure la questione è talmente elementare che si fa presto a raccogliere argomenti per dirimerla. Le tradizioni religiose, le culture dei popoli primitivi e la filosofia non hanno dubbi che ci sia solo il matrimonio determinato dalla natura. Bisognerebbe capire perché la proposta di altri tipi di matrimonio sia stata avanzata dopo che la diffusione dell’individualismo ha reso instabili i rapporti sociali. L’introduzione del matrimonio omosessuale si ripercuoterà sulla famiglia indebolendola, accrescendo l’individualismo. Stiamo subendo una manipolazione ideologica della società. Si vuole uno Stato fondato sull’individuo invece che sulla famiglia. Il cambiamento non è una evoluzione creata da spontanee dinamiche sociali. Il popolo è naturalmente tradizionalista. I cambiamenti sono concepiti da élite intellettuali al servizio dei poteri forti, propagandati dai media e trasposti in pratica dai politici servili.
Compiuta la disgregazione della famiglia estesa patriarcale contadina nell’Ottocento e inizio Novecento, si è passati all’esaltazione della libertà dell’individuo in contrapposizione alla famiglia borghese mononucleare, accusata di essere il paravento di ipocrisie e grettezze. Adesso che la famiglia è in crisi, si contrappone alla famiglia vera il matrimonio delle coppie omosessuali. Così diventerà ingiusta la legislazione che vorrà accomunare famiglie in realtà di tipo diverso. Dobbiamo chiederci perché questo è avvenuto nei paesi cristiani.
Da dove viene l’invenzione giuridica di coppie definite finora contro natura? Il percorso storico è iniziato con l’allontanamento dell’illuminismo dalla metafisica, e proseguito con la formazione di ideologie prive della razionalità filosofica. Al popolo si dice di volta in volta che cosa deve buttare via della sua concezione tradizionale della società, ma non si dice quale Stato utopico si vuole costruire. Ogni passo è presentato come un riforma miglioratrice. Ma non sappiamo quali altre riforme abbiano in mente gli ideologi.
È bene fare il punto della situazione. La gravità dell’aggressione all’istituto familiare richiede di contrapporre degli argomenti in tutti i suoi aspetti: religioso, educativo, sociale e filosofico, e di comprendere l’evoluzione ideologica che la massoneria sta inculcando nella società.

ARGOMENTO RELIGIOSO. Benché solo dopo la cacciata dall’Eden compaiano nella storia sacra i figli di Adamo ed Eva, l’istituzione della famiglia è avvenuta prima del peccato originale. Di questo bisogna tener conto per giudicare il valore del legame coniugale.
Nel primo racconto della creazione, Elohim dà il comando di procreare dei figli nello stesso momento in cui crea l’uomo e la donna, nel sesto giorno. Se ne deduce che fa parte della creazione il legame tra i genitori e dei genitori con i figli.
          

Elohim creò gli uomini secondo la sua immagine; a immagine di Elohim li creò; maschio e femmina li creò. Quindi Elohim li benedisse e dopo disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela.” (Gn 1, 27-28)


Nel secondo racconto della creazione è più chiaramente istituita la famiglia mentre Adamo e Eva erano nello stato di innocenza.
          

Yahweh Elohim plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna, e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne. Sarà chiamata ‘iššâ (donna) perché da ‘iš (uomo) è stata tratta. Per questo l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una sola carne. (Gn 2, 23-24)

          
La santità conferita alla famiglia prima del peccato originale rimane intatta, come istituzione, anche dopo il peccato. La prova cui sono stati sottoposti Adamo ed Eva ha comportato delle pene sulla loro condizione di vita, ma le condanne comminate da Dio non hanno colpito l’istituzione familiare: la sua santità è rimasta intatta. Dalla fondazione della famiglia deriva quella della società. Infatti è scritto che si deve abbandonare la famiglia in cui si è nati per fondarne un’altra. Al momento della creazione è stabilito anche il ruolo di capofamiglia dell’uomo. Infatti, prima è creato l’uomo (Gn 2,7) e dopo la donna (Gn 2,22).
Il rapporto dei genitori con Dio è diretto, non ha bisogno della mediazione di un sacerdote. La funzione sacerdotale compare per la prima volta nella persona di Melchisedec (Gn 14,18 ss). Il rapporto diretto non è mai venuto meno, in ragione della conservazione della santità dell’istituzione familiare. Nella celebrazione del matrimonio i ministri sono gli sposi, e il battesimo, almeno in caso di necessità, può essere amministrato da un laico. I due sacramenti su cui si fonda la famiglia e la società hanno come ministri celebranti i laici. Perciò il potere temporale è dato direttamente da Dio ai laici. Più efficacemente dei sacerdoti, devono essere i laici in prima fila per contrastare l’equiparazione del contratto tra omosessuali al matrimonio. I sostegni e le agevolazioni di cui godono le famiglie naturali, sostenute con le tasse pagate da tutti i cittadini, non devono essere date a unioni che urtano la coscienza dei cittadini. Parlo di ‘laici’ nel senso originario e proprio del termine, cioè di fedele non ordinato sacerdote.
           Commento I. - La pretesa di chiamare “matrimonio” dei contratti di convivenza tra persone dello stesso sesso è da respingere totalmente, perché incompatibile con la santità di questa istituzione stabilita da Dio nel tempo a-storico della creazione.
          


ARGOMENTO EDUCATIVO. La convivenza omosessuale può essere liberamente stabilita da un contratto privato, per cui non c’è nessun motivo di legalizzarla con la forma del matrimonio, il quale ha la funzione primaria di rendere certa la paternità e la maternità dei figli. Senza i figli la famiglia non è perfetta. L’unione omosessuale, che per principio non si propone di avere figli, non può essere chiamata matrimonio. Volere la forma pubblica per il contratto omosessuale come ha il matrimonio, è la premessa per giustificare l’adozione di minorenni. È perciò fondamentale discutere se l’adozione abbia giustificazioni morali e filosofiche, oppure se abbia solo motivazioni ideologiche. L’omosessualità è stata sempre praticata più o meno liberamente o tollerata, a parte i giudizi negativi presso popoli di religione cristiana e la condanna nell’islamismo. Da qualche decennio si assiste alla propaganda dell’omosessualità, cui si deve contrapporsi obiettivamente e ragionatamente. Cominciamo con quanto ci dice l’etnologia sui popoli primitivi. Non solo nelle famiglie patriarcali primitive, ma anche in quelle matriarcali l’educazione e le norme tribali non sono impartite dalla madre, ma da uomini; nella famiglia da parte dello zio materno, e nella società dagli anziani della tribù a tutti i giovani raggruppati in classi di età. Per le femmine ci sono i riti dell’adolescenza. Possiamo attribuire allo stato sociale degli anziani, in riguardo all’iniziazione delle classi di giovinetti, la stessa funzione che si assume lo Stato etico di Hegel nella formazione dei cittadini.
Il termine matriarcale è fuorviante. Non essendo le donne a comandare, è preferibile il termine matrilineare per indicare la discendenza. La madre è la persona di maggior prestigio, ma il potere non è esercitato direttamente da lei. L’autorità appartiene al fratello della madre o al figlio primogenito. Detto per inciso, la primogenitura è una usanza nata nel matriarcato e conservata dal patriarcato impostosi successivamente. Le norme morali tribali sono sempre insegnate da uomini nei due tipi di culture. Il ruolo della madre è psicologicamente insostituibile nell’infanzia, ma l’inserimento nella società degli adolescenti richiede invece norme di rispetto dei ruoli di ciascuno nella tribù, che sono impartite con i riti di iniziazione. Inoltre nelle culture matriarcali dominano le società segrete maschili, su cui accennerò più avanti. In conclusione, nelle culture primitive l’educazione dei figli è curata da adulti di entrambi i sessi.
           Commento II. - All’educazione completa dei bambini devono provvedere sia una donna sia un uomo: i genitori. Una coppia omosessuale non assolve il compito educativo.
          


ARGOMENTO SOCIALE. Il tipo di famiglia influenza la società. La falsa equiparazione della coppia eterosessuale con quella omosessuale non reggerà a lungo senza conseguenze. In primo luogo un minorenne adottato, raggiunta la maggiore età, deve avere il diritto di disconoscere i genitori omosessuali adottanti e di rigettare il cognome che gli hanno dato.
Se poi si intende pienamente la libertà reclamata, presto è prevedibile che venga contestato il mantenimento della monogamia. Il libero orientamento sessuale non è ristretto a una coppia. È diffusa tra gli omosessuali l’usanza di riunirsi a gruppi, in cui troverebbero maggior “felicità”. Si direbbe che sia questa pratica all’origine del nome di gay (“gaio” o “felice” in inglese) che si sono dati. Per essere coerenti col principio del libero orientamento sessuale si dovrebbe legalizzare anche la poligamia omosessuale. Poiché la poligamia è una realtà storica antica e attuale, sarebbe arbitrario legalizzare solo quella omosessuale. Di conseguenza non si potrebbe più vietare la poligamia eterosessuale. Qualsiasi tipo di famiglia dovrebbe essere legalizzato, estendendo l’assistenza previdenziale a tutti i membri.
           Commento III. - L’unica regola giustificabile razionalmente è la famiglia monogamica eterosessuale. Gli altri tipi di aggregazione sessuale variano a piacere.
          


ARGOMENTO FILOSOFICO PRIMO. Il matrimonio secondo il libero orientamento sessuale è motivato con l’inesistenza di una legge morale naturale valida per tutti e in tutte le epoche. Chi fa questa affermazione è consapevole che nella scienza deterministica si chiama “legge” di un fenomeno solo ciò che si verifica sempre nello stesso modo. Ci sono poi dei fenomeni fisici indeterministici a livello microscopico. Anche nelle neuroscienze si studierebbe come descrivere deterministicamente il comportamento umano, nonostante che i fenomeni psichici siano molto più complessi e molto più variabili di quelli che si verificano nella fisica. Quindi possiamo dire sicuramente che la sessualità, in quanto fenomeno naturale mirato alla riproduzione, abbia una legge naturale su cui si basa la legge morale. Poniamoci da un punto di vista evoluzionista. Gli etologi (studiosi della vita degli animali) parlano di “altruismo” quando gli animali si aiutano nel procurarsi il cibo, benché mai sia stato osservato un aiuto disinteressato. Se un animale riesce a procurarsi il cibo da solo, non aiuta gli altri. Fa eccezione il caso particolare della madre con i piccoli finché non sono autosufficienti. Ovviamente il darwinismo spiega l’aiuto disinteressato tra gli uomini (cioè il comportamento morale) come evoluzione a partire dall’egoismo mascherato da collaborazione che si osserva tra gli animali. L’evoluzione non può che aver favorito le coppie che avevano cura dei figli almeno fino all’età dell’adolescenza. Inoltre, la scienza descrive l’evoluzione come un processo deterministico che ammette deviazioni dalla linea più favorevole alla specie. L’omosessualità è stato uno dei fattori sfavorevoli. Può il relativismo sessuale porre sullo stesso piano giuridico la coppia eterosessuale e quella omosessuale a dispetto della storia naturale dell’evoluzione? Certamente no. Ci sono dei limiti al relativismo? Certamente sì. Ce lo dice il relativista Kant.
La genesi del relativismo risale all’illuminismo, che ha la prima cosciente manifestazione nella filosofia di John Locke e nell’empirismo inglese. Lo spirito antimetafisico dell’illuminismo considera razionale solo la scienza, mentre la morale è vista in qualche modo come un aspetto delle usanze sociali. Questa posizione ha posto il problema della distinzione tra il valore morale di una norma e le convenzioni sociali di un popolo. Storicamente, la definizione della morale separata dalle leggi naturali è giunta a compimento nell’opera di Immanuel Kant, che ha creduto di dimostrare da una parte che alla ragione umana non è conoscibile la verità assoluta, e d’altra parte che la legge morale naturale e universale dovrebbe comunque esistere, sebbene inconoscibile.
Contrariamente a Platone, Kant non crede che l’uomo possa avere conoscenza certa al di là dell’esperienza dei sensi. Quindi non crede che l’uomo possa avere conoscenza certa dell’esistenza dell’anima, di Dio e nemmeno dell’essenza delle cose naturali. Per esempio, noi abbiamo la sensazione della gravità dei corpi, ma non sappiamo dire niente sulla essenza della forza di gravità che rende il corpo pesante. Misuriamo la gravità ma non sappiamo che cosa sia. Il filosofo dice che l’essenza è la “cosa in sé”. Kant la ha chiamata “noumeno”, e Platone la chiamava “idea” della cosa, ovvero il modello ideale di una cosa. Secondo Platone l’uomo, ragionando sulle percezioni dei sensi, arriva a conoscere il modello ideale. Secondo Kant invece, la nostra conoscenza si ferma alle sensazioni che percepiamo. Kant chiama “fenomeni” le sensazione che percepiamo, alle quali si limita la nostra conoscenza. I noumeni delle cose, e a maggior ragione l’anima e Dio, sono esclusi dalla conoscenza raggiungibile tramite la ragione.
Fatta questa premessa, vediamo come procede Kant. La facoltà di acquisire conoscenze con la sola ragione si fonda su concetti puri, ovvero su condizioni indipendenti e anteriori (a priori) alle sensazioni. La conoscenza è certa quando le condizioni sono universali e necessarie, cioè uguali per tutti.
Nella Critica della Ragione pura descrive la facoltà di conoscere scientificamente la realtà percepita dai sensi, grazie ai due concetti puri dello spazio e del tempo, i quali permettono in primo luogo di costruire le leggi della matematica, e in secondo luogo sono le condizioni a priori necessarie affinché l’intelletto abbia, tramite i sensi, intuizioni empiriche dei fenomeni naturali. Detto per inciso, dopo la scoperta di altre geometrie, oltre a quella euclidea, il discorso di Kant deve essere modificato nel senso che ogni tipo di fenomeni fisici richiede una specifica geometria. La certezza della scienza empirica deriva da quella della matematica, e perciò i fenomeni naturali sono soggetti al rigoroso determinismo.
Questa è l’unica conoscenza certa acquisibile dalla ragione. Mancando la percezione dei sensi, tutti i pensieri dell’uomo diventano opinabili. Secondo Kant, non essendoci percezione sensibile del noumeno, quindi delle sostanza spirituali – Dio, l’anima – , non è dimostrabile con ragionamenti l’esistenza di Dio. È una conclusione che toglie alla metafisica la certezza teoretica; e soprattutto, mancando la rivelazione divina, la ragione umana non è capace di costruire una legge morale naturale e unica. Non essendo sopportabile una società sregolata, Kant tenta di costruire la morale partendo dall’idea del sommo bene. Per cogliere il mondo soprasensibile (la metafisica) segue un procedimento simile a quello della conoscenza scientifica, cioè parte da condizioni a priori. Per fare questo, presuppone come necessarie due condizioni senza le quali non è concepibile il sommo bene. Seguendo l’esempio dei postulati degli enti geometrici, pone come postulati l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. Dio non è conoscibile per via teoretica con la metafisica, ma la sua esistenza è richiesta affinché la ragione riesca ad accedere alla realtà noumenica per costruire le regole del comportamento pratico, cioè etico.
Nella Critica della Ragione pratica descrive come l’azione morale acquisti l’aspetto di legge a priori della ragione, cioè universale (per tutti gli uomini) e necessaria (indipendente da qualsiasi circostanza). Per stare nei limiti della ragione umana, Kant identifica il sommo bene con la buona volontà di fare il proprio dovere, che secondo tutti deve essere completa, cioè massima, e indipendente dai vantaggi o danni; quindi è la condizione a priori della moralità. Da qui deriva la definizione di imperativo categorico (comando assoluto impegnativo per tutti) del dovere. Tutto ciò richiede che la ragione pratica sia libera di decidere. Kant identifica la volontà buona con la ragione pratica, la quale è libera legislatrice di se stessa. La volontà di compiere il dovere è di per se stessa morale. Richiedendo il libero arbitrio, la volontà non è soggetta alle leggi deterministiche naturali. Perciò appartiene al mondo del noumeno.
Però Kant intende il noumeno in duplice significato. Primo, la sua forma, che è il dovere di compiere un’azione (imperativo categorico). Secondo, il suo contenuto, che è l’azione “in sé” da compire. Ma, come detto sopra, l’uomo conosce solo la forma del noumeno, non il contenuto. Di conseguenza, l’uomo non può conoscere se il contenuto dell’azione sia buono o cattivo. Di seguito vedremo come Kant esce da questa situazione di stallo.
Non è agevole seguire i ragionamenti dei filosofi. Ma bisogna farlo, perché dalla alterazione delle filosofie derivano le ideologie. Le ideologie vorrebbero presentarsi come saggezza filosofica, ma ciò che appare giusto in una ideologia, può non essere razionale filosoficamente.
L’aspetto principale, a prima vista assurdo, della legge morale di Kant è l’indipendenza del suo valore da ciò che essa comanda. Il valore consiste nella forma, cioè nell’essere legge universale e necessaria, indipendentemente dal contenuto buono o meno del comando. Il comando categorico deve essere eseguito senza l’intenzione di raggiungere un fine, senza pensare se il fine sia giusto o sbagliato. Esso comanda di compiere il dovere per il dovere: solo così è conferito valore morale alle azioni. Kant non ritiene morale la volontà mirata a qualche scopo da conseguire, lodevole o biasimevole che sia. Il vantaggio individuale o sociale (utilitarismo), il piacere dei sensi (edonismo) o la ricerca della felicità dell’anima (lo scopo che desiderava Aristotele) sono tutti incapaci di fondare una autentica moralità. Questi scopi sono etiche che fondano la morale su una conoscenza che sarebbe raggiungibile se la ragione potesse percepire i noumeni, cioè se potesse accedere alla legge morale naturale e unica. Invece l’etica di Kant si fonda sulla ragione pratica, che ha come unica legge il dovere in se stesso, il dovere per il dovere.
La posizione di Kant pone il problema della fonte della legge morale: Dio, il re o il filosofo. Il dovere di eseguire un comando indipendentemente dal contenuto è ammissibile se si ponesse come fonte della morale Dio. Il comando di Dio deve essere eseguito senza giudicarne il contenuto. È ovvio allora fare l’esempio biblico del comando ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco. Questa fonte del dovere però esula dallo scopo di Kant di costruire la morale sulla sola ragione umana. Politicamente Kant si chiese come comportarsi quando un suddito giudichi iniqua una legge del re. La sua risposta era che il suddito doveva sempre obbedire all’autorità, però riservandosi il diritto criticarla, senza giungere alla decisione estrema dell’esilio, altrimenti avrebbero dovuto farlo tutti i sudditi dato il principio dell’universalità. Kant era contrario a qualsiasi manifestazione violenta della propria opinione, tanto più se rivoluzionaria, infatti biasimò la Rivoluzione francese. L’impressione, dimenticando per un attimo che parliamo di un filosofico, sarebbe che avesse una concezione prussiana del dovere.
Vediamo, dunque, le regole della morale quando la fonte è il filosofo. Ognuno può concepire una propria legge morale, ma tutti devono concepirla rispettando delle regole. Kant enuncia tre formule per rendere pratica la legge morale dell’imperativo categorico. Per brevità le includo in un’unica massima:
          

Agisci in modo che la tua volontà possa sempre diventare per tuo volere una legge universale e abbia sempre come fine l’umanità, senza mai considerare soltanto come mezzo la tua persona o ogni altra persona”.

Le persone si distinguono dalle cose, proprio perché sono in se stesse dei fini e non dei mezzi; hanno dignità e non un “prezzo” e sono superiori alle stesse leggi deterministiche della natura, perché sono portatrici della legge morale.
Secondo questa massima, per acquistare valore morale una azione deve ricercare l’universalità, anche se ogni atto è particolare e contingente, per cui sono immorali tutte le azioni che non si potrebbe volere imporre come leggi universali. Per esempio sono immorali, il suicidio, la mancata restituzione dei debiti, il disinteressarsi degli altri. In certi campi morali è escluso il relativismo.
La massima di Kant sostanzialmente corrisponde a quella biblica “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso”, e in più esalta l’universalità dell’azione morale, dichiarando quelle non universali immorali o estranee al giudizio morale. Venendo al nostro tema, nella discussione sull’omosessualità ai termini ‘libertà’ e ‘morale’ si lascia un significato intuitivo. Invece, dando voce ai filosofi, si delimita al meglio la questione.
           Commento IV. - L’omosessualità è immorale perché se fosse praticata da tutti porterebbe l’umanità all’estinzione. Inoltre il rapporto omosessuale si esaurisce in se stesso, non ha fini. Perciò è immorale perché usa la persona solo come mezzo.
          


Il discorso sulla morale kantiana non è terminato. Per quanto è stato detto, la libera volontà morale dovrebbe agire attuando i suoi fini nella natura, ma ogni fenomeno naturale non è libero, ed è determinato da cause ferree. Con la Critica del Giudizio Kant cerca di superare il contrasto tra il mondo deterministico della ragione pura e quello della libertà della ragione pratica. L’uomo deve in qualche modo raffigurarsi unitariamente il mondo sensibile del determinismo del fenomeno e il mondo soprasensibile dell’indeterminismo del noumeno. In realtà nell’uomo la ragione pratica e quella pura sono unite e ne guidano le azioni. Perciò anche nella natura, dice Kant, deve esserci coordinamento tra il fenomeno e il noumeno; cioè la natura deve essere organizzata in modo da non opporsi alla libertà morale. Ci deve essere un principio per cui la libertà del noumeno deve in qualche modo influire sulle leggi del fenomeno, in modo che l’ordine della natura si accordi con gli scopi espressi dalla libera volontà. Questo principio è proprio del giudizio, ed è un principio a priori, quindi può darci una conoscenza universale. Il giudizio della ragione pratica è dato qualora l’uomo riflette su un fatto naturale per metterlo in relazione con il sentimento universale della finalità. L’uomo crede che la natura abbia una finalità. Questa è il principio a priori del giudizio riflettente. La riflessione non raggiunge la conoscenza scientifica, ma ci indica come dobbiamo pensare le leggi della natura per soddisfare una esigenza della nostra facoltà del conoscere.
Grazie alla finalità, le leggi della natura sono riconducibili tutte a una unità generale, a un fine comune. Il piacere risultante dall’accordo tra la natura e il nostro bisogno di trovare per essa un principio universale è anch’esso universale, perché è determinato da un principio a priori, ed è una conoscenza disinteressata.
L’unità che ci sembra di vedere nelle leggi della natura è espressione di un punto di vista soggettivo, cioè libero, ma essendo il sentimento a priori della finalità comune a tutti gli uomini, il giudizio riflettente è universale. La finalità è vista nelle leggi della natura (detta teleologica) oppure nella bellezza della natura (detta estetica). Tale universalità è naturalmente diversa da quella teoretica perché non è fondata sulle forme logiche, ma sulla universalità del sentimento.
           Commento V. - La finalità è la proiezione del pensiero dell?uomo nel futuro. Quando l?uomo riflette sulla sessualità, pone in relazione il proprio sentimento armonicamente con la finalità della fertilità della natura. Questo è escluso nella relazione omosessuale, dato che vi è usata la persona come mezzo e non come fine.
          




           Dalla Critica della ragione pratica
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di reverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si ferma su: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.
          

Immanuel Kant





ARGOMENTO FILOSOFICO SECONDO. La rivoluzione francese ha sconvolto la storia attribuendo allo Stato il compito di formare un uomo nuovo. La sostituzione di una monarchia con la repubblica non è stata una novità, e nemmeno il bagno di sangue del vecchio regime. La novità è stata la persecuzione del clero come inizio del distoglimento della vita sociale dalla religione. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino è stata un abbozzo di costituzione dello Stato che soppiantava la concezione filosofica contrattualistica del rapporto tra il re e i sudditi. Non è più l’accordo tra due contraenti alla pari, re e sudditi, che fonda lo Stato, ma è lo Stato che detta per legge i principi regolatori del comportamento dei cittadini, con lo scopo di riformare la loro mentalità.
La rapidità della diffusione delle idee rivoluzionarie in gran parte d’Europa e la forte personalità di Napoleone hanno influenzato fortemente la filosofia di Georg Hegel, inducendolo a impostarla sui temi dell’individuo, dello Stato e della storia. Come gli altri filosofi immediatamente successivi a Kant, Hegel respinge la separazione incomunicante tra fenomeno e noumeno; e contrariamente a Kant crede che l’esistenza di Dio sia dimostrabile. L’uomo non deve pretendere di ricavare da se stesso i principi della morale, come sosteneva Kant, ma può riconoscerli in quanto già realizzati nella storia e nelle istituzioni. Secondo Hegel la prima istituzione è la famiglia, che ha la propria base nella naturalità, anzi, in essa la naturalità è elevata a momento spirituale, poiché la famiglia rappresenta una fusione sostanziale e non solo fisica tra i coniugi. Inoltre la famiglia è un’unica persona, nel significato giuridico del termine, ed è una sola sostanza dal punto di vista etico. Solo quando la famiglia si scioglie i singoli membri tornano a essere persone separate. La famiglia non è dunque un semplice contratto, ma un’unione spirituale e morale.
Per trattare il nostro argomento dobbiamo vedere come Hegel descrive le relazioni tra l’individuo, la famiglia e lo Stato. La dialettica dimostrativa di Hegel si articola in tre momenti: tesi, antitesi e sintesi. Facendo un paragone, nel campo della fisica, la tesi è l’esperimento di un fenomeno, l’antitesi è la legge matematica del fenomeno, e la sintesi è la teoria che spiega il fenomeno unendo la legge con l’esperimento.
Cominciamo con la triade delle relazioni tra gli individui che compongono la società civile. Un individuo (soggetto) ha relazioni con tutti gli altri individui (oggetto) che comportano la limitazione delle libertà. Comunemente “etica” e “morale” sono sinonimi. In filosofia, come fa Hegel, si può dare all’uno e all’altro termine sfumature di significato diverse. Hegel chiama spirito oggettivo la ragione che realizza la conciliazione tra gli individui. I momenti dello spirito oggettivo sono i seguenti.
           La tesi è il Diritto, costituito dal complesso delle norme.
L’antitesi è la Moralità, espressa dalla volontà di compiere il dovere.
La sintesi è l’Eticità, in cui l’obbedienza è motivata dalla comprensione del fine delle norme.
          
Prendendo come modello la triade dello spirito oggettivo, ne deduciamo l’applicazione a un caso specifico. Consideriamo una coppia senza figli che desidera adottare un bambino.
           Il Bambino ha il diritto di essere allevato in una famiglia (tesi).
La Coppia che lo chiede in adozione deve avere le virtù morali (antitesi).
La Famiglia formata è etica se sono rispettati i diritti presumibili del bambino, dato che la minore età non gli consente di decidere consapevolmente (sintesi).
          
Supponiamo che un giudice, applicando una legge ideologica, debba decidere l’adozione del bambino scegliendo tra due casi, una coppia eterosessuale e una omosessuale. I diritti presumibili del bambino possono essere soddisfatti da un tipo di famiglia qualsiasi?
           Commento VI. – Secondo Hegel esiste la legge naturale, e la famiglia è fondata sulla naturalità. Quindi l’unica famiglia che soddisfa i diritti del bambino è quella naturale formata da padre e madre. La coppia omosessuale non ha diritto di adottare i minori di età.
          
La massima eticità è creata dalla aggregazione di tutte le istituzioni della società civile e dello Stato. La triade dell’eticità è la seguente.
           La Famiglia è legata dal sangue e da reciproco amore (tesi).
La Società civile è costituita dall’insieme delle famiglie impegnate nelle varie attività e interessi (antitesi).
Lo Stato riassume tutte le istituzioni, rappresenta la volontà universale e ha il più alto diritto di fronte agli individui (sintesi)
.
          
Sebbene la triade cominci con la famiglia, Hegel parla di relazione tra lo Stato e gli individui. L’individuo è visto come un soggetto finito e limitato in relazione con la dimensione oggettiva e universale dello Stato. I cittadini non esistono se non come membri dello Stato. L’individuo e la società civile sono subordinate allo Stato. Hegel afferma che lo stato è fonte di libertà e norma etica per l’individuo. La condotta dello Stato non può essere oggetto di valutazioni morali da parte dell'individuo.
I termini prosaici di “individuo” e “Stato” non danno l’idea del lungo processo storico e di tutta la realtà delle vicende e del pensiero umano. Hegel vede la Storia indirizzata verso un fine, e la chiama Spirito assoluto, e la chiama Spirito assoluto. La triade dello Spirito assoluto è la seguente.
          

Il processo dialettico parte dallo Spirito individuale soggettivo (tesi);
il quale in relazione con gli altri spiriti individuali dà luogo allo Spirito oggettivo, che regola la vita in comune (antitesi).
L’unione di questi due momenti da luogo allo Spirito assoluto (sintesi)
.

          
Per Hegel la storia è Storia universale dello Spirito assoluto. In questa triade tutte le istituzioni (la famiglia, le associazioni civili, lo Stato) sono comprese nello spirito oggettivo come relazioni tra individui. La famiglia non merita una posizione privilegiata, benché Hegel ne abbia una grande considerazione. Allo Spirito assoluto contribuisce ogni individuo in relazione con tutti gli altri. Hegel ritiene che la Storia presenti una finalità universale che leghi insieme tutti gli avvenimenti e sia perciò razionale; concezione che ha espresso con la massima: “Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”. Ovviamente non si deve guardare ai fatti minuti, ma agli svolgimenti secondo indirizzi dominanti e alle istituzioni basilari e necessarie, come la famiglia e lo Stato che hanno una precisa ragione d’essere. Questa concezione è universale, cioè patrimonio di ogni singolo individuo. L’individuo sperimenta le oggettive connessioni sociali e riconoscendole si eleva alla universalità.
L’individualismo espresso limpidamente nella filosofia di Hegel è consono nell’ambiente protestante. Tuttavia non dovrebbe essere una coincidenza fortuita che sia stato introdotto nella filosofia al tempo della rivoluzione francese. Compare dapprima nella filosofia di Johan G. Fichte, e diventa la base del progresso storico in Hegel. L’efficacia che ha avuto l’individualismo nella trasformazione del popolo da strati sociali a masse, non mi pare che sia spiegabile solo con la mentalità protestante. Dalla filosofia di Hegel si trae l’impressione che l’individualismo abbia avuto impulso dal cambiamento della forma dello Stato e del modo di guerreggiare. Hegel si discosta dalle teorie filosofiche contrattualistiche del Seicento e Settecento, secondo le quali lo Stato origina da un “contratto” tra i sudditi e il sovrano, in cui i sudditi accettano le leggi che vengono loro imposte dal sovrano, sacrificando parte della loro libertà, e ricevono in cambio protezione militare e la tutela con le regole stabilite. Sebbene il sovrano potesse avere il potere assoluto, i sudditi avevano la dignità di controparte, e soprattutto era rispettata la loro sfera privata. L’autorità paterna (almeno in Francia e Italia per quanto mi è noto) poteva chiedere con una lettera che fosse incarcerato un familiare senza processo. Il padre era legislatore all’interno della propria famiglia. Nella filosofia di Hegel sono capovolte le parti: non sono gli uomini a formare lo Stato (teoria contrattualistica) ma è lo Stato che legifera in tutti i campi per formare gli individui e regolarne la vita. Hegel non avrebbe introdotto questo ribaltamento nella sua filosofia senza un esempio storico reale, altrimenti non varrebbe la sua sentenza che “ciò che è razionale è reale”.
La realtà storica che ha ispirato Hegel è verosimilmente il nuovo modo di guerreggiare imposto dal miglioramento delle armi da fuoco prodotte in quantità crescente, che indussero a decretare la coscrizione obbligatoria. Lo stato si sentiva più forte di qualsiasi rivolta popolare. Il principio contrattualista poteva non essere più applicato, non essendo alla pari le due parti.
Sopra abbiamo detto che i cittadini non esistono se non come membri dello Stato. Questo è ovvio per il cittadino soldato. L’esercito è una massa di individui dal ruolo indistinguibile. Le battaglie che combattono hanno una finalità non compresa da loro, costretti come sono ad ascoltare la propaganda e tacere. Solo lo spirito di alcuni individui eccezionali, qualche condottiero e uomo di Stato, chiamato individuo cosmico-storico da Hegel, intuisce che cosa è richiesto dal proprio tempo e prende per tutti le decisioni necessarie.
Benché Napoleone fosse il nemico, Hegel ammirava il suo imperio capace di plasmare la storia. Aveva avuto l’occasione di vederlo a Jena cavalcare in lungo e in largo per la città in ricognizione, e ne era rimasto affascinato dalla sua posa di dominatore. Applichiamo la triade dello Spirito assoluto a questa scena.
           Un qualsiasi Soldato francese (tesi),
si sente legato dalla disciplina militare agli altri Soldati (antitesi)
Ma oltre ai soldati c’è un individuo eccezionale, Napoleone, l’individuo cosmico-storico che guida la massa di soldati verso la vittoria, determinando una nuova realtà storica, una nuova consapevolezza che crea un progresso dello Spirito assoluto (sintesi).
          
In tempo di guerra l’istituzione familiare non ha nessun ruolo, e in tempo di pace è comunque secondaria. Il progresso culturale e scientifico è prodotto da relazioni al di fuori dalla famiglia. Lo Spirito assoluto non deve gran che alla famiglia. La dialettica di Hegel ha posto la base filosofica per lo svilimento della famiglia stabilendo che lo Stato etico legiferi sulle relazioni interne alla famiglia e definendo lo Spirito assoluto come universalità degli spiriti individuali.
Il difetto della filosofia di Hegel è nella debolezza della relazione tra lo spirito soggettivo (l’individuo) e lo Spirito assoluto. L’individuo dovrebbe interagire con gli altri per raggiungere la consapevolezza dello Spirito assoluto, cioè divenire cosciente di sé nella Storia. Nello stesso tempo, il ruolo del singolo individuo nello sviluppo dello Spirito assoluto nella Storia non ha rilevanza. Il nuovo viene colto solo da alcuni grandi uomini che sentono la necessità del cambiamento e se ne fanno interpreti.
L’individuo subisce gli avvenimenti, senza sentirsi protagonista. Martin Heidegger ha affrontato questo tema, in cui l’impossibilità di avere un ruolo determinante annulla il significato della propria esistenza. Allora la relazione con gli altri avviene nella consapevolezza della temporaneità delle azioni. La breve parentesi dell’esistenza umana, è preceduta e seguita dal nulla. Certo, i posteri usufruiranno di quanto abbiamo fatto e lasciato. Il defunto è essere storico per i posteri. Ma può questo pensiero appagare lo spirito dell’uomo durante la vita? L’esistenza umana dovrebbe essere sorretta solo dalla gratitudine dei posteri? Perché solo dopo 2500 anni dal suo inizio la filosofia è stata sopraffatta dall’angoscia esistenzialista? Non a caso questo è avvenuto dopo la scoperta della solitudine dell’individuo. Hegel ha posto l’individuo in relazione con gli altri per edificare lo Spirito assoluto, definizione pomposa per indicare il progresso storico. Ma questa prospettiva non è parsa soddisfacente a Kierkegaard, che pure era sorretto dalla fede. E Heidegger ha accettato faticosamente la magra consapevolezza dell’utilità della vita di un individuo per i posteri. Il senso del vuoto e del nulla pervade il tempo moderno e viene coperto dalla frenesia tecnologica.
Questo deserto spirituale è conseguenza dello svilimento della famiglia iniziato con Hegel. Lo comprendiamo con uno tragico esempio biblico. Gli Israeliti nei tempi remoti non credevano nell’aldilà dopo la morte (così dicono gli esegeti, però gli autori biblici potrebbero aver taciuto sull’aldilà per non cadere nelle mitologie politeiste). Per gli antichi la famiglia era la loro vita. La vita dei genitori non si interrompe del tutto. Essi rivivono nei figli. Dio promette ad Abramo che la sua discendenza sarà come la polvere della terra, che è impossibile contare; o, con altra allegoria, innumerevole come le stelle del cielo. Questa promessa è ripetuta più volte. La discendenza assicurata dalla famiglia evita l’angoscia esistenziale descritta da Heidegger. Nella mentalità primitiva l’antenato rivive nei figli.
           Commento VII. - La pioggia di zolfo e fuoco che ha sterminato i peccatori di Sodoma e Gomorra appare come la punizione più impressionante possibile per far risaltare la promessa fatta da Dio a Abramo di avere la discendenza innumerevole. Alla stirpe di Abramo è contrapposto l’annientamento della stirpe di coloro che rifiutano il dono di Dio della figliolanza, arsi nel fuoco per purificare la terra dal loro peccato.
          


           Ingresso di Napoleone a Jena
Ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo - cavalcare attraverso la città per andare in ricognizione: è davvero un sentimento meraviglioso la vista di un tale individuo che, concentrato qui in un punto, seduto su un cavallo, abbraccia il mondo e lo domina.
          

Georg W. Hegel





ARGOMENTO IDEOLOGICO. I successori di Kant hanno accusato la sua filosofia di essere contraddittoria. Non si può negare la conoscenza della realtà trascendente e contemporaneamente fondare la moralità su di essa. Critica giusta ma non risolutiva. Dopo Kant la riconciliazione del noumeno col fenomeno sarebbe stata un ritorno alla metafisica come ancella della teologia. Kant aveva fondato tutto sulla sola ragione. Aveva anche trattato su La religione entro i limiti della sola ragione. Dopo Kant il problema è diventato il rapporto tra scienza e fede, al quale ognuno è chiamato a dare una risposta personale. Dopo Kant la filosofia si è diramata in più corsi, indebolendosi e quasi eclissandosi, di fronte alla rapida crescita della rigorosa razionalità del pensiero scientifico, il quale però si trova in difficoltà a comprendere se stesso; cioè la stessa razionalità dell’uomo. L’esempio eclatante è il fallimento dei tentativi di traduzione computerizzata delle lingue. La grammatica non pare essere veramente razionale e le traduzioni automatiche sono costrette a usare metodi statistici piuttosto che grammaticali.
Dobbiamo prendere atto che il successo del pensiero scientifico è rimasto relegato nelle scienze esatte. Le cosiddette scienze umane, principalmente la sociologia e la psicologia, sono ben lontane dalla spiegazione scientifica del comportamento umano. L’eclissarsi della metafisica e la consapevolezza delle irraggiungibilità della certezza scientifica hanno lasciato il campo a concezioni filosofiche meno preoccupate della razionalità. Per le dottrine che si occupano delle crescenti funzioni dello Stato e dei problemi sociali, si è adattata la denominazione di ideologia. Oggidì il pensiero ideologico prevale su quello filosofico. Stranamente, all’aumentare del livello scientifico del lavoro è diminuita la razionalità dell’intellettuale, che da filosofo è diventato ideologo.
L’ideologia designa un complesso di fenomeni storici ed economici che condizionano lo sviluppo generale della società essenzialmente tramite lo Stato. Gli argomenti ideologici mescolano un po’ di razionalità con argomenti atti a suscitare sentimenti, per essere persuasivi a scopo di dominio. La differenza tra filosofia e ideologia è notata già dal linguaggio; per esempio il filosofo parla dell’uomo e del popolo, mentre l’ideologo discute in termini di lavoratore, di cittadino, di classe e di massa. Abbiamo visto che la debolezza della filosofia di Hegel si trova nello svilimento della famiglia, non considerata parte attiva del progresso storico, fondato invece sulle relazioni individuali. Eppure sappiamo che in qualsiasi attività produttiva o commerciale, l’azienda familiare ha buone doti di resistenza sul mercato. La famiglia è una società sia produttiva sia di mutuo soccorso, che potrebbe non aver bisogno di prestiti dalle banche, né di sovvenzioni dallo Stato, anzi è lo Stato a essere sostenuto con i proventi delle tasse che impone alle aziende. La famiglia è un piccolo centro di potere, interessata al buon funzionamento dell’apparato pubblico e al controllo statale sui potentati economici. È difficile credere che la crisi della famiglia si sia autogenerata al suo interno, quando è lo Stato a legiferare sull’economia domestica e sui legami familiari. Il popolo è conservatore dei propri costumi e ha cura della forza delle proprie istituzioni. Inoltre, quando le tasse pagate dalle famiglie non sono utilizzate per i servizi necessari alle famiglie, è palese che la democrazia è una parola vuota e i poteri forti calpestano la volontà del popolo. L’intuizione ci dice che siano stati i poteri forti, tramite le leggi, la magistratura e i media, ad aver promosso le rivoluzioni dei costumi che hanno svilito la famiglia, allo scopo di annullare il controllo democratico sul governo dello Stato. Per concretare questo sospetto bisogna delineare l’ideologia dei cambiamenti sociali, dimostrando la loro programmazione.
La rivoluzione sessuale del 1968 non fu spontanea. Le idee che propugnava erano state elaborate dai filosofi dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte (detta “scuola di Francoforte”), principalmente da Herbert Marcuse, che tra i membri della scuola era quello che più si rifaceva a Freud. Il tema che interessa a Marcuse è la felicità dell’individuo; non la felicità dell’anima che si raggiunge con la ricerca filosofica, come diceva Aristotele, ma quella del piacere dei sensi. La sua opera non è sistematica e razionale, ma un incitamento a ribellarsi alla repressione degli istinti e lanciarsi nella ricerca istintiva del piacere, nella libera soddisfazione dei bisogni, delle passioni. Marcuse non si limitò a Freud, ma andò a ripescare il socialismo utopista di Charles Fourier (1772-1837), il primo a descrivere una società futura in cui ciascun individuo seguirebbe in piena libertà le proprie inclinazioni, comprese quelle omosessuali. La vita, secondo Fourier, verrebbe organizzata in comunità economicamente autarchiche risiedenti in un grande edificio chiamato falansterio, lavorando e seguendo le proprie passioni. L’opera di Fourier che più esplicitamente riguardava la libertà sessuale, intitolata Il nuovo mondo amoroso, non è stata data alle stampe dall’autore, ed è rimasta inedita fino 1967. La coincidenza della pubblicazione con l’inizio della rivoluzione sessuale indica palesemente che questo sommovimento è stato programmato.
In opposizione a Freud, che sosteneva che la civiltà comporta il differimento dei piaceri, Marcuse sostiene che il contenimento degli istinti non sarebbe indispensabile per la vita familiare, per il lavoro e per le istituzioni fondamentali della vita associata. Anzi la liberazione della libido sarebbe fonte di un ethos di uomini liberi e solidali tra loro. L’eros sarebbe da intendere come radice estetica, come possibile fonte di un mondo più bello, meno deturpato dall'aggressività, dalla violenza, dalla distruzione della natura e dell'ambiente, dalla guerra, dall'odio razziale e di classe. È lo stesso programma di Fourier per cui la vita è fatta di lavoro ed eros. Le attività che non sono strettamente legate a procurare il necessario per vivere hanno poco interesse; anzi lo stesso lavoro, secondo Marcuse deve essere riorganizzato in modo da riguardare la liberazione sessuale.
L’ostacolo a questo programma, denuncia Marcuse, è la struttura repressiva della famiglia patriarcale e monogamica, affermazione sorprendente in bocca di un ebreo. Gli israeliti erano un popolo patriarcale, sebbene non monogamico. Il disordine sessuale e i sacrifici umani erano propri dei culti della fertilità della Dea Madre condannati da Yahweh.
Le parole di Marcuse sono ingannevoli. A parte la descrizione di un mondo più bello, che sono parole vuote, mi soffermo sul superamento dell’odio di classe, che promette una società pacificata. Questa sarebbe raggiungibile principalmente riformando il diritto familiare, favorendo il matriarcato rispetto al patriarcato e impostando la legislazione sui diritti dell’individuo nella sfera della sessualità.
Cominciamo dal matriarcato. All’avanzata delle donne nel mondo del lavoro si può dare una spiegazione economica e sociale. Invece ci sono altre aperture professionali istituite con impulso di provvedimenti legislativi che denotano la volontà di cambiare la mentalità della gente e la sociètà. Mi riferisco in particolare all’accesso delle donne nelle forze militari e di polizia in compiti operativi sul campo, alle quote rosa a livello politico e alla possibilità di dare il cognome della madre ai figli. Le motivazioni di queste forzature richiedono una premessa sulla differenza psicologica tra donna e uomo rispetto alle attitudini professionali. Ci sono professioni di fatto esclusivamente maschili. In campo artistico questo si verifica per la composizione musicale. Ci sono molte donne musiciste e cantanti, ma non ci sono compositrici di musica. Nessuno glielo vieta, eppure non lo fanno. La differenza è tra la concretezza dell’esecuzione musicale e l’astrazione della composizione. Le donne preferiscono un lavoro concreto utile alle persone, meglio se svolto insieme ad altre persone, piuttosto che un lavoro astratto e solitario. Questo è confermato in campo scientifico nell’astronomia. Ci sono almeno due esempi di grandi scoperte fatte da astronome. Henrietta Swan Leavitt nel 1912 scoperse la variazione periodica di luminosità delle stelle chiamate poi Cefeidi, da cui ricavò una relazione che determina la distanza della stella. La proposta di premiarla col Nobel purtroppo fu fatta solo dopo la sua morte, inammissibile secondo il regolamento del premio. L’altra astronoma è Jocelyn Bell Burnell, che nel 1967 scoperse, ancora da studentessa, la prima stella di neutroni. Della sua scoperta si impossessò il professor Antony Hewish che fu premiato col Nobel, suscitando polemiche per la mancata assegnazione del premio anche alla Bell Burnell. Anche qui notiamo che le astronome preferiscono il lavoro concreto strumentale. Nessuna si è fatta notare con pubblicazioni nelle teorie cosmologiche, che sono la parte più astratta, tutta carta e penna (per modo di dire, oggi c’è il computer) dell’astronomia. Solo in questi ultimi anni, stando alle mie limitate informazioni, in cui la cosmologia ha maturato grandiose teorie, si sono aggregate delle ricercatrici all’ambiente maschile, distinguendosi in qualche caso almeno a livello di tesi di dottorato di ricerca in cosmologia. È la stessa relazione che si trova in filosofia dove le filosofe sono rarissime e tutte legate da parentela o da amicizia con dei filosofi. In conclusione la differenza psicologica tra donna e uomo è quella tra concretezza e astrazione. Di questo terremo conto parlando delle donne in politica.
Vediamo adesso di trarre qualche idea dalle culture matriarcali primitive. Un accenno è già stato fatto sopra.

1 - Il potere nel matriarcato. Nella famiglia matriarcale, o meglio matrilineare, gli uomini autorevoli sono il figlio primogenito e lo zio materno, non il padre. Una caratteristica di queste culture sono le riunioni separate per i due sessi, paragonabili all’androceo e gineceo dell’antica Grecia. Il potere sulla tribù è nelle mani di uomini, il capotribù e gli anziani. Spesso i sodalizi maschili sono organizzati in società segrete, che si assumono il compito di vigilare sul rispetto delle leggi tribali con metodi violenti, esercitando un potere che esautora il capotribù. Questi aspetti del matriarcato si trovano anche nella leggenda degli atlantidi, in cui il re è il figlio primogenito. I dieci capotribù degli atlantidi si riunivano periodicamente di notte per giudicare e condannare a morte chi aveva commesso infrazioni alle leggi; un comportamento che fa pensare alle società segrete etnologiche. Le società segrete sono molto diffuse nell’Africa occidentale. Alle società segrete etnologiche sono assimilabili le mafie dell’Italia meridionale. L’influenza della donna traspare dal nome di mammasantissima del capomafia, dato per esprimere che il suo potere deriva dalla madre.

2 – Sacrifici umani e spirito violento. Le culture matriarcali praticavano riti di fertilità cruenti, anche con sacrifici umani tra cui la caccia alle teste. La crudeltà era abbinata alla libertà sessuale come rito magico di fertilità. Nella Bibbia compare la contrapposizione del patriarcato al matriarcato nel capitolo di Abele e della stirpe di Caino. Abele era un pacifico pastore, quindi di cultura patriarcale; mentre Caino, secondo l’interpretazione etnologica, era un agricoltore che praticava il sacrificio umano (l’uccisione si Abele) come rito di fertilità. La stirpe di Caino ha delle caratteristiche matriarcali. Nella genealogia cainita si dà importanza alle donne. Ogni nuovo figlio è nominato in rapporto al fratello maggiore, non al padre, che è implicitamente degradato. Il cainita Lamec si vantava della sua spietata violenza rivolgendosi alle due mogli, che nel contesto avevano un ruolo preminente. In conclusione, il matriarcato etnologico risulta, pervaso dalla violenza e dalla sessualità in qualche grado libera, mentre è il patriarcato a condurre relazioni pacifiche al suo interno. Al nostro tempo abbiamo sotto gli occhi l’esempio dell’Italia meridionale, con le interminabili faide familiari incitate dallo spirito vendicativo delle donne. Riguardo lo spirito violento, la realtà etnologica è il contrario della ideologia di Marcuse

3 – La frammentazione tribale. I primi insediamenti stabili sono stati realizzati dagli agricoltori. Il dominio su territori vasti è invece iniziato dai popoli pastori, o allevatori. Nel mondo antico, gli imperi sono formati dallo strato sociale dominante di origine pastorizia e dallo strato dei sudditi degli agricoltori e artigiani di cultura matriarcale. Per esempio, la repubblica romana è iniziata con l’assoggettamento dei plebei matriarcali da parte dei patrizi pastori. Credo che la spiegazione migliore della contrapposizione tra patrizi e plebei sia quella della rivalità tra patriarcato e matriarcato. La fondazione dello Stato necessita della collaborazione pacifica di tutti per il bene comune, condizione realizzabile nelle culture patriarcali. Nelle culture matriarcali la collaborazione è forte all’interno della famiglia estesa, ma debole tra le famiglie, sempre in pericolo di scatenamento di faide. Questa motivazione può essere adatta anche per le moderne popolazioni dell’Italia meridionale, accusate di “familismo amorale”, cioè di mancanza di rispetto del bene comune e del senso dello Stato.

4 – Il degrado sociale. Le caratteristiche del matriarcato etnologico sembrerebbero distanti dalla vita civile moderna. Tuttavia l’uomo è sempre lo stesso. Anche al nostro tempo le sorti del mondo dipendono da società maschili segrete: la massoneria, che si muovono per reintrodurre usanze matriarcali nella società, benché non si voglia ritornare all’arcaica famiglia estesa; anzi, attualmente si spinge la società verso l’individualismo per indebolirla ulteriormente. Il risultato cercato è l’impossibilità del controllo democratico sull’attività di governo. Le riforme che promuove la massoneria mirano a ristrutturare i rapporti sociali in modo da impedire il formarsi di una volontà comune ostile al regime. Questo è lo scopo dell’indebolimento della famiglia patriarcale e della promozione di un neo-matriarcato affiancato dall’individualismo.
La strategia per demolire la famiglia patriarcale è di colpirla nei suoi valori morali. Si è cominciato durante la rivoluzione francese con l’erezione di alberi della libertà nelle piazze delle città. Attorno agli alberi si portavano delle prostitute a ballare. Questo ci dà l’idea della tattica degli illuministi per impadronirsi del potere: diffondere il vizio per disaffezionare i sudditi alle autorità tradizionali dell’ordine costituito. È l’applicazione della dottrina di Machiavelli alla rovescia. Non si tratta del principe che, per governare un popolo dissoluto, deve agire astutamente e applicare leggi ferree per arginarne i vizi; ma si tratta del principe che, trovandosi a governare un popolo virtuoso, diffonde il vizio per distoglierlo dal controllo del proprio operato illegale.
Oggidì il degrado della società nei paesi occidentali è preoccupante. La droga e la criminalità organizzata non sono combattute a sufficienza, e il crescente numero di poveri aggrava la situazione. Non tutti i politici si preoccupano di rimediare. L’introduzione di costumi matriarcali può peggiorare la situazione. Questo pare essere voluto di proposito.
Mi rifaccio a quanto ho detto sopra sulla mentalità astratta maschile. La legge morale è una elaborazione di principi astratti. La moralità è associata al Dio maschile, non alla Dea madre. L’accusa di ipocrisia agli (ironicamente detti) “benpensanti” piccoli borghesi è un indiretto riconoscimento che la moralità ha un grande valore nel patriarcato, anzi, la moralità è insita nel patriarcato. Per dimostrarlo è sufficiente dire che Dio ha dato il comando di non mangiare il frutto ad Adamo, prima di creare Eva. Si deduce che Eva lo ha appreso da Adamo, il quale è il depositario della legge morale. Nel matriarcato primitivo il bambino imparava le regole tribali dallo zio materno, non dalla madre; e il compito di far rispettare le norme tribali era assunto dalle società segrete maschili, anche con metodi spietati: sono i maschi a occuparsi delle norme tribali.
La rivoluzione sessuale moderna non poteva iniziare prima del XX secolo, quando la società era nettamente patriarcale, ma ha dovuto essere preceduta dall’impulso verso l’indipendenza socio-economica della donna e la conseguente crescita della sua autorità nella famiglia. Per sostenerlo basta l’esempio del patriarcato antico romano, in cui c’erano delle sacerdotesse vergini, mentre nel matriarcato assiro-babilonese c’erano templi in cui avveniva la prostituzione sacra.

5 – Il potere nell’ultima utopia. A giudizio degli etnologi anche nelle culture cosiddette matriarcali il potere è comunque nelle mani degli uomini, per cui è più appropriato il termine matrilineari per indicare la linea di discendenza. Oggidì invece gli uomini favoriscono l’ingresso delle donne nelle stanze del potere. Il sospetto che ci sia un secondo fine è rafforzato dal fatto che la massoneria asseconda questa tendenza, e forse ne è l’ispiratrice, pur essendo una congrega esclusivamente maschile. L’occupazione femminile si è espansa in molte professioni sociali. Ma il potere politico è qualcosa di più di un posto nella società, e viene ceduto malvolentieri. La politica ha il compito di prendere decisioni ideologiche riguardanti il futuro, con prospettive più ampie di quelle di routine di una attività economica o sociale. Lo scopo che la massoneria persegue è di assoggettare al proprio volere il parlamento eletto dal popolo. La democrazia è nata nel patriarcato, ed è pervasa da valori morali patriarcali, i massoni credono che distribuendo alle donne le cariche pubbliche avranno meno ostacoli all’attuazione dei loro piani. Nella Grecia antica il primo governo democratico è stato quello della città di Atene, che più delle altre aveva conservato la cultura patriarcale dei dori, soppiantando il matriarcato miceneo. La propaganda contro il patriarcato ha dapprima cominciato a denigrare i “benpensanti” piccoli borghesi (invece la grande borghesia è ai vertici della massoneria) poi ha promosso la liberazione sessuale e adesso favorisce l’accesso delle donne in incarichi pubblici al massimo livello.
Certamente le donne possono esercitare egregiamente l’incarico pubblico della presidenza dello Stato. Ma dalle donne non verranno mai concepite riforme che cambino lo status quo, perché lo Stato non è nato nella cultura matriarcale. La forma statuale astratta del potere viene prima del un rapporto concreto tra specifiche persone. Le donne si occupano dei rapporti concreti tra le persone, non dei principi su cui è fondato lo Stato. Come ho detto sopra, le donne non hanno una visione astratta, non pensano a trovare soluzioni diverse da quello che offre l’esistente. Le donne ai vertici del potere facilmente attuerebbero i piani della massoneria, cosa che è meno sicura se a capo dello stato fosse eletto un uomo. Mi pare evidente la somiglianza di questa situazione con quella delle culture primitive matriarcali, in cui le congreghe segrete dominano sulla tribù condizionando il capotribù legittimo. Oggidì se il capo è una donna il condizionamento è più facile.
Non è immaginabile che si arrivi alla reintroduzione completa del matriarcato arcaico. La famiglia patriarcale è comunque stata indebolita e il suo declino sta proseguendo, corrodendo la forza della classe media, che è di struttura patriarcale. È la classe formata da coloro che si preoccupano di assicurare il futuro dei figli lasciando loro in eredità un certo patrimonio, da coloro che si sentono radicati nella storia del loro Paese, da coloro che si sentono depositari della particolare cultura, arte e indole del loro popolo, da coloro che vogliono educare i figli secondo la morale familiare tradizionale e si oppongono all’indottrinamento dello stato etico. Questa classe sociale, che ha l’istruzione per comprendere le altre civiltà, è anche la più coscientemente attaccata alla propria civiltà.
Le etichette politiche di “destra” e “sinistra” nel dibattito sui principi etici e sociali non definiscono quali siano gli ideali dei fronti contrapposti. Si sente perciò parlare di tradizionalisti e progressisti, ma questa è una distinzione erronea, perché i principi sono tali se sono universali e immutabili come lo è la psiche dell’uomo e della donna. Il conflitto sociopolitico che stiamo sostenendo oggidì si è ripetuto più volte nella storia dell’umanità, ed è quello tra patriarcato e matriarcato. La novità della nostra epoca è l’alterazione che subisce il matriarcato dalla spinta verso l’individualismo, che contrasta con i solidi rapporti tra fratelli che si realizzerebbero nel matriarcato grazie al materno possesso dei figli. Si ha l’esempio storico antico della civiltà assirobabilonese, in cui la cultura matriarcale era in relazione col fratriarcato. Ma i mondialisti operano per indebolire qualsiasi tipo di famiglia.
Il gran disordine che si vuole creare nella società, applicando le idee di Marcuse, ha lo scopo di scompaginare la famiglia patriarcale per realizzare l’utopia mondialista. Indebolito il rapporto tra padre e figlio, verrà meno il motivo di lavorare per lasciare dei beni ai figli. Godersi la vita, senza pensare alla storia degli antenati e al futuro dei figli, è uno stato d’animo che porta a disinteressarsi dei problemi del presente che non siano quelli spiccioli della propria situazione. Se questo stato d’animo fosse diffuso in tutto un popolo, sarebbe come se fosse ridotto in schiavitù. A questo punto sarebbe una finzione la volontà popolare espressa con le elezioni del parlamento. Non ci sarebbe più il popolo patriarcale coeso e pacifico al proprio interno, e perciò avente la forza per combattere i progetti massonici.
Così si spiega l’inganno ideologico di Marcuse, che ha perorato cambiamenti di costume in nome della libertà, ma forieri di disordine morale. Non sarà più un popolo, ma una massa di individui dai rapporti sociali instabili. La famiglia non sarà più una fortezza in cui ci si sente al sicuro. Tuttavia, il potere mondialista deve sempre temere il generarsi di reazioni culturali. A impedimento di una possibile ripresa del patriarcato è stato pensato lo snaturamento della famiglia con la coabitazione di coppie a piacere e con l’ideologia “gender” estrema bandiera dell’individualismo. Il matrimonio omosessuale è una invenzione politica, un inganno ideologico che non ha nessuna giustificazione morale e filosofica, propagandato per frantumare definitivamente la società.
Sarà realizzabile questo piano?
           Commento VIII. - Non ci sono argomenti razionali per sostenere la legalizzazione del matrimonio omosessuale. La sua istituzione è dettata dal delirio di onnipotenza che ritiene di poter realizzare qualunque cosa decida, senza essere sottoposto a nessuna regola superiore gnoseologica. Ma la conseguenza sarà una società conflittuale, perché non ha senso dire “matrimonio” senza i figli. Sull’adozione sarà un conflitto che vedrà, come sempre è avvenuto, la riaffermazione della morale patriarcale della famiglia naturale e unica.
          



Edito da: Editrice Il Torchio, Padova, 2014.

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