FRED HOYLE E L'ORIGINE DALL'ETERNO (*)

di Carlo Frison

La filosofia di Spinoza è il riferimento preferito dagli scienziati che pensano a un universo eterno e a una natura governata da leggi immutabili che escludono i miracoli. Hoyle, incredulo delle storie bibliche fin da giovanissimo, propone una spiegazione della storia dell'uomo, della religione e della scienza, basata sull'influenza di esplosioni in cielo di grandi bolidi. Hoyle però non accenna al problema dell'origine dell'idea di Dio. Dai commenti alla teoria di Hoyle da parte di colleghi accademici si induce a una distinzione tra ateismo maschile e ateismo femminile, paragonabile alla differenza tra religiosità maschile e femminile.

1- Introduzione
La cosmologia - branca dell'astronomia fondata nel Novecento - ha suscitato tra gli scienziati atei riflessioni filosofiche che si richiamano all'identificazione di Dio con la natura, espressa da Spinoza con la sentenza: "deus, sive natura". La spiegazione del sentimento religioso esposta da Fred Hoyle in L'origine dell'universo e l'origine della religione(1), è facilmente criticabile; eppure la lettura è utile per comprendere le motivazioni di un ateo. In appendice del libro, è riportato un dibattito tra scienziati e umanisti sul rapporto tra scienza e religione, che mi ha fatto notare soprattutto la differente concezione dell'ateismo tra l'uomo e la donna.
La teoria di Hoyle sulla religione è una rielaborazione dell'ipotesi di Victor Clube e Bill Napier, che suppone la cattura di una cometa gigante nel sistema planetario 15.000 anni fa. Da allora questa cometa passerebbe vicino al sole ogni 1600 anni, perdendo frammenti di dimensioni come quello di Tunguska, che cadrebbero a centinaia sulla terra in un lasso di tempo di decine di anni, terrorizzando gli uomini. Agli impatti corrisponderebbe la caduta delle civiltà e la nascita delle religioni spietate e cupe. Al cessare dei fenomeni catastrofici, affievolendosi la memoria delle catastrofi, gradualmente si sarebbero attenuate le crudeltà delle religioni.

2 - Le comete come causa celeste

Tralasciando i primi passaggi della cometa, che coinciderebbero con la fine della glaciazione e la scoperta dei metalli, considero quelli che Hoyle connette a degli eventi epocali religiosi.
In seguito al passaggio della cometa intorno al 4300 a.C., sarebbe stata l'abbagliante comparsa delle luci dei bolidi nel cielo e le collisioni con la terra a dare inizio alle religioni omeriche e alle relative credenze di una guerra tra divinità.
Al passaggio intorno al 2700 a.C., gli egizi avrebbero escogitato la costruzione delle piramidi, come forma geometrica più robusta di quelle usuali degli edifici, per resistere alle onde d'urto della disintegrazione in cielo dei bolidi, in modo da preservare la salma del faraone.
Al passaggio intorno al 1100 a.C., Giosuè avrebbe visto da Gerico non il sole immobile, bensì il bagliore lontano di un'immensa palla di fuoco, prodotto dalla caduta di una cometa. Le cadute di frammenti cometari spiegherebbero la pioggia di fuoco scesa su Sodoma e Gomorra.
Segue un periodo di tranquillità a partire dal 1000 a.C. fino al V e VI secolo d.C., che favorì la formazione del cristianesimo dal giudaismo, così spiegata da Hoyle: "Il suo Dio cupo e vendicativo venne riproposto nelle vesti di un vecchio padre benevolo; per il resto gli elementi del giudaismo rimasero invariati."
Al passaggio intorno al 500 d.C. sarebbe stato l'impatto di proiettili caduti dal cielo a disgregare l'impero romano. Il calore degli impatti avrebbe distrutto le città e incendiato le foreste, inducendo migrazioni di popoli.
A questo punto Hoyle fa una considerazione rivelatrice della sua concezione della religione, che dà importanza solo alle divinità celesti. Così spiega il motivo dell’affermazione del cristianesimo: "Le antiche religioni avevano perso mordente, il giudaismo era troppo riservato agli ebrei per potersi diffondere oltre la loro cerchia, e la cristianità conquistò il campo per mancanza di avversari, perché non c’erano offerte alternative. In un periodo di catastrofi, tuttavia, doveva somministrare una bevanda meno blanda della solita: Dio poteva rimanere un padre benevolo soltanto se il mondo era tormentato da migliaia di demoni ai quali attribuire la causa di tutti i disastri."
Mi pare di capire che per Hoyle, l’idea di Dio sia sempre suggerita dal cielo, sia che lo concepisca cupo e vendicativo a causa della caduta dei bolidi, sia benevolo quando incendi e distruzioni sono attribuiti ai demoni. Nel secondo caso, intorno al 500 d.C., finché cadevano i bolidi distruttivi, il male è stato attribuito alle potenze degli inferi, da dove non si vede il cielo.

3 - I commenti dei colleghi accademici
Opportunamente il libro riporta i commenti espressi da studiosi di varie discipline, alla fine della conferenza tenuta da Hoyle per presentare questa sua Weltanschauung. I due umanisti - Roger Shinn (etica sociale cristiana) e Milton Gatch (storico della religione medievale) - si dicono delusi dalla semplicità dell'ipotesi di di Hoyle, che vorrebbe spiegare i fenomeni religiosi unicamente con la paura suscitata dalla caduta di comete. Grave è anche la contestazione del geologo Normann Newell, che respinge l'ipotesi di Hoyle degli impatti di comete come causa della fine dell'ultima era glaciale. Al di là delle critiche nelle discipline umanistiche e storiche, è interessante delineare la personalità di uno scienziato che vede nel cielo l'unica causa degli sviluppi della scienza e della religione. Volgiamo quindi l'attenzione alla disciplina di competenza di Hoyle, la cosmologia.
I due fisici intervenuti nella conferenza, Paul O. Kristeller e John Wheeler, notano che l'idea del Big Bang colpisce per la sua stranezza. Perché, si chiedono, l'universo infinito e incontrollabile dovrebbe essere prodotto all'improvviso? Inoltre, lo sviluppo della teoria del Big Bang suppone una supermacchina che sforna universi con proprietà variabili. Ma, si chiedono, da dove proviene quella macchina? Il favore di tanti ebrei e cristiani a tale teoria nascerebbe dall'idea che confermi il racconto biblico della Creazione. Invece, rimane attraente la teoria dello stato stazionario (formulata da Hoyle, assieme ad altri due astronomi), forse perché in sintonia con certe speculazioni filosofiche greche, per esempio col cosmo unico ed eterno di Aristotele. Wheeler ricorda che nel Seicento Spinoza aveva negato il resoconto biblico della Creazione, perché gli sembrava che, se prima dell'inizio di ogni cosa c'era il nulla, era impossibile che ci fosse un orologio a segnare il tempo in cui ogni cosa avrebbe avuto inizio: è una contraddizione interna.
Però, bisognerebbe spiegare il senso del titolo “l’origine dell’universo” del libro, applicato alla teoria dello stato stazionario, che non suppone una origine (un inizio) dell’universo. La teoria dello stato stazionario richiede la creazione continua di atomi di idrogeno per mantenere costante la densità dell’universo in espansione. econdo le conoscenze dell’universo degli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, Hoyle aveva calcolato che sarebbe stata sufficiente la creazione di un atomo di idrogeno in un volume pari a quello di una comune stanza ogni alcuni milioni di anni. La formula matematica della teoria dello stato stazionario presenta un universo esistito da sempre e in e spansione. L’interpretazione puramente matematica, che ammettere l’infinito attuale, non è intuitivamente trasferibile dalla formula allo stato fisico dell’universo. L’interpretazione fisica dovrebbe parlare di espansione di un universo illimitato, cioè infinito in potenza; il che renderebbe poco intuitiva l’eternità dell’universo nel passato. Il titolo del libro di Hoyle, “origine dell’universo”, non può significare inizio dell’universo dal nulla, giacché Hoyle pensa all’universo eterno, né significherebbe inizio da qualcos’altro di diverso, altrimenti non sarebbe stazionario. Parafrasando il titolo, sarebbe da dire “origine dall’eterno”, definizione che ciascuno – filosofi, scienziati e religiosi – può interpretare a modo proprio.

4 - Lo spirito critico di Hoyle
Hoyle ha mirato a contestare le divinità celesti, trascurando i fenomeni religiosi incompatibili con la mentalità scientifica, quali la magia, la stregoneria, il culto dei morti e il culto della fertilità, legati per lo più a divinità degli inferi. Non si è curato delle sepolture rituali dei morti iniziate nel paleolitico, prima dei 16000 anni fa del primo passaggio della cometa gigante. La sua attenzione è attratta solo dalle divinità celesti. Per abbozzare qualche giudizio sulla mentalità di Hoyle partiamo da un suo accenno autobiografico.
Hoyle racconta che, ascoltando da adolescente i sermoni di predicatori “farneticanti”, era inevitabile che notasse, a parte i miracoli, le numerose contraddizioni nei comportamenti e nella psicologia dei personaggi dei testi sacri. All'inizio aveva tentato di identificare un minimo di credenze religiose privo di contraddizioni; senza riuscirvi. Questo lo ha portato alla lunga a dare alla religione la spiegazione scientifica legata alla cometa. Ne deduciamo che l'incredulità di Hoyle è sorta dal suo spirito critico innato, prima del raggiungimento della istruzione scientifica adeguata. Questo conferma che la critica alla religione non richiede nozioni scientifiche elaborate; e che è un errore dare maggior peso alle affermazioni ateiste degli scienziati, piuttosto che a quelle di una persona poco istruita. Lo spirito critico è un aspetto della personalità di Hoyle, riconosciuto anche in campo scientifico La comunità dei fisici gli è riconoscente per le sue teorie controcorrente, smentite dalla prova dei fatti, ma ingegnose e stimolanti di modelli alternativi. Infatti, Wheeler dice che “Scagliarsi contro il pensiero a scatola chiusa si addice a Hoyle più che a ogni altra persona che io conosca.” Però, talvolta Hoyle sembra mosso piuttosto da uno spirito di contraddizione, senza sufficienti motivazioni. Ne è esempio la sua ipotesi della fine della glaciazione causata dalla caduta di comete. Il giudizio di avventatezza colpisce anche la sua teoria sull'origine della religione. Tuttavia la sua cernita dei fatti religiosi salienti non è priva di senso. L'idea di Hoyle che si debbano considerare solo divinità celesti è conforme agli studi Wilhelm Schmidt (1868-1954) e di Raffaele Pettazzoni (1883-1950) sull'Essere Supremo Creatore, presente in tutte, o quasi, le religioni primitive contemporanee, e corrispondente in qualche modo al Dio monoteista.

5 - La causa unica
La teoria di Hoyle richiama la filosofia panteista di Spinoza, in cui gli unici attributi di Dio conoscibili dall'intelletto umano sono il pensiero è l'estensione. Il pensiero assoluto è la matematica e l'estensione è lo spazio geometrico (secondo Newton lo spazio fisico, il cielo, è attributo di Dio). Sarebbe questa concezione dello spazio come immanenza di Dio a indurre Hoyle a porre la stessa causa per la religione e la scienza. Egli osserva che: "nell'Iliade e nell'Odissea sembra essere assente la volontà umana quale fattore di causalità. Anche se l'agente causale che controlla gli esseri umani viene ritratto a tinte vivaci e sotto la veste di dèi e di dee, non c'è dubbio che intervenga dall'alto, dal cielo."
Il cielo avrebbe influenza anche sulle idee degli scienziati. In questo senso egli pensa che la concezione della scienza sviluppatasi dopo l'ultima caduta di bolidi (500 d.C.), venendo meno al trascorrere dei secoli lo spavento suscitato da quei fenomeni celesti, avrebbe avuto uno scadimento, perché si sarebbe cominciato a credere che “nulla di esterno può influire sulla terra.” In conseguenza di questa amnesia dell'influenza del cielo, Hoyle dice che: "La fisica e la chimica erano presentate come delle scienze capaci di badare alle proprie faccende senza mai riferirsi a qualcosa di esterno alla terra. La fisica in particolare superò di gran lunga l'astronomia quanto a utilità, anche nella stima popolare. Ma dalla metà del XX secolo ha subito una sorta di declino [Hoyle sottintende la teoria del Big Bang, n.d.a.] che a mio avviso va interpretato come conseguenza dell'amnesia. La fisica è andata avanti fino a dove le era possibile senza doversi collegare all'universo in maniera fondamentale. La biologia rimane quella di sempre, un'alleanza tra ipotesi traballanti e un empirismo complesso. Sono queste le tragiche conseguenze dell'avere eliminato il cielo quale agente causale, un millennio e mezzo fa."

6 - Due tipi di ateismo
La teoria della causa comune di scienza e religione non poteva che essere giustificata dal principio antropico. Hoyle scrive: "Per quale strana coincidenza [la cometa] sarebbe passata di qui soltanto quindicimila anni fa? Mi sono finalmente reso conto che la risposta sia nel cosiddetto principio antropico. La nostra stessa esistenza giustifica di fatto gli eventi improbabili e tuttavia necessari a renderla possibile. Se la storia e la civiltà sono state prodotte dall'arrivo di una cometa gigante periodica, la nostra associazione temporale con tale cometa non è più dovuta al caso. L'arrivo della cometa è stato, sì, casuale ma la nostra associazione con i suoi effetti non lo è."
Con questa disquisizione Hoyle vorrebbe passare dal ‘caso’ agli eventi ‘necessari’ per l'uomo, per evitare di ammettere lo scopo nell'universo, perché sarebbe come ammettere Dio creatore. Gli argomenti dei fisici per dimostrare la ‘necessita’ e non ammettere lo scopo, sono molto specialistici. Noi possiamo solo considerare i loro commenti filosofici; per esempio quello sorprendente che nei fenomeni quantistici non è sufficiente la conoscenza dello stato attuale per procedere, ma si deve sapere anche qualcosa del futuro. I commenti sono anche l’occasione per gli scienziati di spiegare le loro posizioni sulla religione, che, a dire il vero, sono poco interessanti e sono deboli echi di qualcosa detta da qualche filosofo.
Sono arrivato alla puntualizzazione sull'ateismo maschile e femminile. Contrapponendo la citazione di una lettera di Einstein a una domanda della Ruth Anshen, fatta durante la conferenza sul libro di Hoyle, si evidenzia la differente importanza che l'intelletto maschile e quello femminile danno al pensiero (ovvero alla scienza) e alla persona. Da ciò deriva la differenza tra due tipi di ateismo, paragonabile alla differenza tra religiosità maschile e femminile.
Rispondendo a un banchiere del Colorado nel 1927, Einstein scrive: "Non riesco a concepire un Dio personale che influisca direttamente sulle azioni degli individui o che giudichi direttamente le proprie creature. Non ci riesco, malgrado il fatto che la causalità meccanicistica sia stata, fino a un certo punto, messa in dubbio dalle scoperte della scienza moderna. La mia religiosità consiste in una umile ammirazione dello Spirito infinitamente superiore che si rivela in quel poco che noi, con la nostra ragione debole ed effimera, possiamo capire della realtà."(2)
Alla conferenza di cui dicevo all'inizio, la filosofa Ruth Anshen, rivolse agli scienziati questa domanda: "Sono rimasta colpita dal fatto che i cosmologi sia del Big Bang sia dello stato stazionario ritengono che l'universo debba conoscere in anticipo la mossa successiva prima di compierla. Siccome sembra implicare che l'universo abbia una cognizione, e la cognizione implica una coscienza, e la coscienza una volontà, uno scopo, una determinazione, una decisione, è possibile dire che l'universo pensa? Aggiungo che sebbene possa non esserci una risposta allo stato attuale delle nostre conoscenze, prego e credo fermamente nella possibilità che un giorno la risposta possa essere trovata."
Prendendo Einstein come esempio dell'intelletto maschile, notiamo la capacità dell'astrazione dei concetti, resi indipendenti dalla persona che li enuncia ed elevati a realtà spirituale. In questo tipo di ateismo il pensiero dell’uomo diventa tutt’uno con le leggi fisiche dell'universo eterno, diventa ‘intelligenza dell'universo’ non personale, che sostituisce il Dio personale.
Dalle parole della Anshen invece, si comprende la difficoltà delle donne di attribuire il pensiero a un insieme di corpi (l'universo) che non sono una persona. L’ateismo femminile non ammette un Dio spirito impersonale. Per loro il pensiero non può essere che una relazione tra persone. Per una donna, una persona che pensa in solitudine ai fenomeni della materia, estraniandosi da tutte le altre persone, non conduce una vita degna di essere vissuta. Nell'ateismo femminile non ha nessun significato una scienza che sia di per sé spirito, senza essere attributo di qualcuno. Per rafforzare questo giudizio è sufficiente dire che nel pensiero delle filosofe è sempre presente il riferimento alla persona. Delle poche filosofe delle epoche passate spesso non abbiamo nemmeno frammenti di opere, e sono ricordate perché erano legate a un filosofo o per rapporto di parentela o di amicizia. Delle filosofe del Novecento (Edith Stein, Simone Weil, Hannah Arendt, Simone de Beauvoire) nessuna ha fatto ricerca di filosofia teoretica, ma sempre dell'agire delle persone, cioè di storia politica, storia della filosofia, psicologia ed etica. Ugualmente, il sentimento religioso è vissuto dalle donne unicamente in relazione alle persone. Anche nell'isolamento dal mondo delle suore il pensiero è rivolto a una persona, perché la vocazione è sentita come sposalizio con Cristo.
Nella realtà biologica, le caratteristiche intellettuali determinate dal sesso non sono nettamente distinte tra maschio e femmina, analogamente a quanto succede in molte caratteristiche sessuali non specifiche della riproduzione. La parziale fusione tra i due intelletti rende possibile a ognuno di comprendere i due tipi di ateismo, sebbene il sesso determini la preferenza per l'uno o per l'altro. Il corollario che ne deriva è che l'associazione dei due intelletti porta a tenere uniti i concetti di spirito (il pensiero) e di persona; il che significa la credenza in un Dio personale. Invece ognuno dei due tipi di ateismo è concepibile dissociando l'intelletto prevalente del proprio sesso da quello prevalente dell'altro sesso, dissociazione prodotta da una volontà razionalizzante. Poiché la stato naturale è l'associazione dei due intelletti, si induce che la concezione dell’esistenza di Dio-persona è più aderente alla psicologia che la sua negazione.

7 - La ricerca della minima forma di religione
Adesso posso spiegare il motivo per cui sopra non ho riferito le contestazioni a Hoyle, fatte dai due storici delle religioni. Uno scienziato ateo si aspetta discorsi logici, piuttosto che disquisizioni storiche o teologiche. La questione sottintesa da Hoyle risiede nella relazione tra l’idea del cielo come causa impersonale e l'uso del termine ‘cielo’ come allegoria di Dio. La discussione dovrebbe riguardare l’origine psicologica dell’idea dell'esistenza di un Essere spirituale.
È preferibile descrivere il problema come è presentato dall'ateo Georges Minois(3). "L'uomo primitivo era ateo o religioso? Il problema delle origini è allo stesso tempo capitale e insolubile. Capitale, perché permetterebbe di determinare il carattere naturale dell'ateismo o della religiosità, conferendo all'uno o all'altra una giustificazione inoppugnabile. Insolubile, giacché la mentalità primitiva dei popoli preistorici è tutt'ora fuori dalla portata di uno studio scientifico."
L'unica fonte per ricostruire la mentalità dell'uomo primordiale è costituita dalle culture di primitivi nostri contemporanei, che però deve essere interpretata con prudenza perché, osserva Minois: l'assimilazione della mentalità dei popoli primitivi del XX secolo a quella dell'umanità preistorica, è frutto di una connessione discutibile.
Minois dice che prima di parlare di nascita della religione bisogna considerare la coscienza dei primitivi di fronte alla natura: "A partire dai primi anni del Novecento, etnologi e filosofi hanno optato per l'uso di una nozione più adeguata a definire le relazioni tra l'uomo preistorico e il suo ambiente naturale: quella di "mana", ossia di una forza immateriale e attiva, diffusa in tutti gli enti. (...) [Il mana] indica un certo indirizzo dell'esistenza nel suo insieme, al di fuori di ogni riferimento a dèi o anche a spiriti per quanto vaghi possano essere. (...) Il mana non è una realtà in sé, ma piuttosto una struttura della coscienza, che ci spinge ad agire intuitivamente come se gli oggetti circostanti fossero pieni di impulsi verso di noi. Il mana consiste in un dato grezzo, immediato, in nessun modo connesso a un sentimento del divino o del sacro. (...) Nella fase pre-animista, scrive Henri Bergson, l'umanità si sarebbe rappresentata una forza impersonale simile al mana polinesiano, diffusa dovunque.
Raccogliendo qualche esempio da qualche testo di etnologia, si apprende che ‘mana’ è un termine melanesiano che esprime la capacità di svolgere le attività quotidiane e le relazioni sociali normali. In più culture primitive si trova l'idea di una ‘forza’ o ‘potenza’ impersonale insita nelle cose. Una persona, un oggetto, na formula rituale possono avere tanto o poco mana(4). Possiedono molto mana gli esperti artigiani, i maestri di qualche branca del sapere, i sacerdoti e i capi, cioè le persone eminenti e potenti della società(5). I membri delle società segrete hanno una quantità di mana crescente col grado gerarchico(6). I pasti antropofagici hanno lo scopo di accrescere il proprio mana. Il cranio è la parte più ricca di mana. I giovani acquistano il diritto a sposarsi solo dopo aver cacciato almeno una testa. Si crede che il mana aderisca al nome e che la sua sostanza vitale si trasmetta al bambino col nome(7). L'eccezionalità del potere del mana è stata anche definita “trascendente e metafisica”(8), forse impropriamente. Dalle caratteristiche del mana induco che questa ‘forza’ riguarda principalmente, se non solamente, il sesso maschile, o almeno così risulta dagli esempi dei testi che ho consultato. Infatti, il mana riguarda i capi e gli uomini eminenti, le società segrete maschili, e il modo più efficace per procurarsene era la caccia alle teste, ovviamente praticata dagli uomini. Il particolare più importante è che un giovane acquisisce il diritto a sposarsi tagliando almeno una testa.
Il riconoscimento della paternità, assicurato dal matrimonio, dipende perciò dal mana accresciuto con un pasto antropofagico. Questo esclude che il mana appartenga alla primissima fase matriarcale culturale dell'homo sapiens sapiens, in cui si suppone che non fosse ancora compresa la necessità del maschio per il concepimento. La connessione del mana col matrimonio mette in dubbio la supposizione di Minois che sia la manifestazione preanimista da cui avrebbe avuto origine la religione, perché questa ‘forza’ impersonale sarebbe invece stata immaginata soprattutto in seguito alla scoperta della paternità. Questo conferma che il carattere impersonale del mana è concepito dai maschi dei primitivi, così come lo spirito impersonale che governa l'universo è concepito dagli scienziati maschi atei. La forza, la causa o l’azione impersonale è una spiegazione concepita dall'intelletto maschile.
Nella primitività più remota dell'homo sapiens sapiens la società sarebbe stata matriarcale, sia per la fertilità della donna considerata indipendentemente dall’uomo, sia per il contributo femminile al sostentamento con la raccolta e coltivazione dei vegetali, che avrebbe uguagliato o superato per importanza quello maschile della caccia. Queste condizioni avrebbero favorito il mantenimento dell'associazione dei due intelletti, maschile e femminile, in modo che la proiezione del ‘pensiero’ personificava la natura, conformemente alla teoria di Émile Durkheime (1858-1917) che la forma minima della religione consista nella personificazione delle forze naturali. La personificazione della natura avrebbe preceduto la concezione di forze impersonali. Credo che piacerebbe anche Hoyle la spiegazione che l'Essere Supremo celeste dei primitivi sia stato concepito dall'impressione suscitata dall'immensità del cielo. I tuoni e i fulmini non sono tanto differenti dagli effetti di un bolide, e la bellezza del cielo diurno o stellato è emozionante. Con buona pace degli atei, tutte le ricerche degli etnologi non servono a escludere che la personificazione del cielo sia stata la prima idea religiosa concepita.

Note
(*) Pubblicato in "Bollettino. Gruppo astrofili di Padova", n. 44 (2010).

1) Fred Hoyle, L'origine dell'uomo e l'origine della religione, Arnoldo Mondadori Editore, 1998.
2) H. Dukas e B. Hoffmann (a cura di), Albert Einstein. Il lato umano, p. 61, Einaudi, 1980.
3) Georges Minois, Storia dell'ateismo, Editori Riuniti, Roma 2003, pp 17-21.
4) Angelo Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri, Roma 1966, pp. 12-13.
5) Herbert Tischner, Etnologia. Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Feltrinelli, Milano 1964, p 342.
6) H. Tischner, cit., p. 338.
7) H. Tischner, cit., p. 335.
8) H. Tischner, cit., p. 331.

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